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In Europa le navi scaricano illegalmente inquinanti oltre tremila volte l’anno

Una recente inchiesta di Lighthouse Reports [1] ha fatto luce su un problema tanto comune quanto potenzialmente disastroso: lo scarico in mare, da parte delle navi transitanti nelle acque europee, di reflui oleosi altamente inquinanti. La ong SkyTruth, sulla base di dati satellitari dell’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Emsa), ipotizza che i casi di sversamenti siano almeno tremila all’anno. I numeri reali però non si conoscono ed è molto probabile che le valutazioni siano sottostimate. Infatti, da un lato, i satelliti non monitorano ogni istante tutte le acque europee e, dall’altro, è verosimile che gli scarichi vengano effettuati di notte proprio per eludere eventuali verifiche. Ad essere sversate sarebbero le cosiddette ‘acque di sentina’, una miscela inquinante, che si accumula naturalmente sul fondo delle imbarcazioni, di oli combustibili, lubrificanti, solventi per la pulizia e metalli come piombo e arsenico. Trattare questi reflui oleosi per rimuovere le sostanze inquinanti, o scaricarli in porto, è costoso. Così, alcune navi optano per sversarle direttamente in mare, dove possono costituire una seria minaccia per la vita marina.

In Europa, le fuoriuscite di petrolio e di altre sostanze sono monitorate dall’Emsa attraverso la sua iniziativa CleanSeaNet, lanciata, nel 2007, proprio allo scopo di analizzare le immagini satellitari per rilevare potenziali scarichi illeciti o incidentali. Nel 2020, l’agenzia ha registrato 7.672 potenziali fuoriuscite ma ha ricevuto un riscontro solo per un terzo di queste, di cui 208 sono state confermate come chiazze di petrolio o suoi derivati. E ancor più basso è il numero di casi effettivamente sanzionati. SkyTruth ha così calcolato quanti sversamenti potrebbero sfuggire al sistema di monitoraggio a causa di lacune nella copertura satellitare e in funzione della velocità con cui le chiazze si dissipano. La conclusione è stata che gli sversamenti effettivi potrebbero essere fino a dieci volte di più rispetto a quelli ufficializzati. Senza contare poi – come ha dichiarato un informatore – la facilità con cui è possibile scaricare queste acque in mare. «Puoi montare una pompa portatile in cinque minuti – ha spiegato – e poi rimuoverla rapidamente se arriva qualcuno». Tra l’altro, i registri cartacei su cui vanno annotate le quantità di oli trasferiti a bordo e processati per la corretta consegna nei porti sono facilmente falsificabili. «La possibilità di trovare i colpevoli dipende inoltre molto dalle tempistiche – ha aggiunto IrpiMedia [2] che ha collaborato all’indagine – entro tre ore dalla segnalazione c’è una maggiore probabilità di individuare ancora le sostanze, ma le autorità dei vari stati membri comunicano pochi dati sulle proprie attività e lasciano pensare che non sia sempre possibile effettuare una corretta verifica».

I rischi per l’ecosistema marino sono perlopiù sconosciuti ma non per questo trascurabili. Anzi, secondo i ricercatori, anche in piccole quantità, le acque con tracce di idrocarburi possono causare seri danni ai microrganismi marini con conseguenti effetti a catena su tutti gli altri esseri viventi. Gli sversamenti “di sentina” tendono a non ricevere la stessa attenzione delle grandi fuoriuscite perché più piccole e meno visibili, ma gli esperti sostengono che la frequenza con cui si verificano sta già avendo un drammatico effetto sulla vita marina. Uno studio [3] del 2016, condotto proprio sugli effetti delle fuoriuscite di petrolio di breve durata, ad esemio, ha confermato “effetti biologici avversi immediati” sugli organismi acquatici, tra cui un calo nel numero di plancton nel mare, microrganismi alla base della catena alimentare.

[di Simone Valeri]