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L’ISIS esiste ancora e si è dato un nuovo capo

Con una dichiarazione rilasciata il 10 marzo, il gruppo terroristico dello Stato Islamico (ISIS) ha confermato la morte del suo leader, Abu Ibrahim Al-Qurashi, che gli Stati Uniti avevano detto di aver ucciso a febbraio con un attacco in Siria. Contemporaneamente, l’ISIS ha fatto sapere di aver eletto un nuovo capo. Si tratta di Abu Hasan Al-Hashemi Al-Qurashi a cui, secondo la testata The New Arab [1], i militanti gli hanno promesso fedeltà. Di lui non sappiamo molto altro se non il nome. Lo Stato Islamico ha fornito poche informazioni che possano aiutare a ricostruire un suo identikit, e non è neppure stata rilasciata alcuna immagine che possa essere utile alle ricerche. Tenere segrete molte di queste informazioni serve infatti a preservare la vita stessa del leader, visto che entrambi i suoi predecessori sono stati uccisi dall’esercito americano nel Nord-ovest della Siria. Gli ex capi avevano infatti provato a nascondersi in quella zona per rimanere fuori dalla circolazione, comunicando con il resto del gruppo attraverso informatori e corrieri di fiducia, ma qualcosa è andato storto.

Era stato Joe Biden, il 3 febbraio scorso, a comunicare che le forze speciali statunitensi avevano effettuato un raid antiterrorismo uccidendo Abu Ibrahim al-Hashimi al-Quraishi. In realtà, per sfuggire alla cattura, il capo dell’ISIS si è fatto esplodere, uccidendo anche membri della sua famiglia tra cui donne e bambini. La stessa sorte era toccata anche al precedente leader, Abu Bakr al-Baghdadi, morto nel 2019 dopo essersi fatto saltare in aria con la propria parentela.

Anche se in Occidente negli ultimi tempi non si è parlato molto di ISIS, il gruppo continua ancora ad operare. Lo storia dello Stato Islamico si fonda sui resti di al Qaeda in Iraq, una propaggine locale fondata da Abu Musab al Zarqawi nel 2004, svanita poi per diversi anni dopo l’ondata di truppe statunitensi in Iraq nel 2007. Ma ha cominciato a riemergere nel 2011. Dopo quegli anni infatti, l’ISIS ha approfittato della crescente instabilità in Iraq e in Siria per effettuare attacchi e rafforzarsi. Lo Stato Islamico continua operare attivamente soprattutto in Medio Oriente, in particolare nelle zone rurali dell’Iraq e della Siria. Nonostante questo, il gruppo non ha un vero e proprio controllo del territorio. Sono lontani quei tempi in cui, al suo apice, l’ISIS deteneva circa un terzo della Siria e il 40% dell’Iraq. Già nel dicembre 2017 aveva perso circa il 95% del suo territorio, comprese le sue due proprietà più grandi: tra queste Mosul, la seconda città più grande dell’Iraq, e la città siriana di Raqqa.

Il gruppo terroristico è meno attivo in Nord Africa, ad eccezione della penisola del Sinai. Ma anche qui non amministra un territorio, ma persegue una debole insurrezione nella speranza di sfinire il nemico e, infine, prendere il controllo e ricostituire lo stato a cui ambisce. Delle tre grandi aree sopra citate, l’Iraq è ancora il teatro più attivo dell’operato delll’ISIS, con attacchi che includono aggressioni, imboscate, attentati sul ciglio della strada, attentati suicidi, omicidi, rapimenti e atti di sabotaggio. In linea generale l’operato del gruppo è diminuito negli ultimi anni, ma questo non significa che qualcosa stia cambiando, o che niente possa tornare come prima. Secondo i recenti rapporti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e del Dipartimento della Difesa [2], ci sono ancora circa 10.000 combattenti dello Stato Islamico tra Iraq e Siria che, seppur subendo delle sconfitte, non sono mai stati sradicati del tutto dall’organizzazione.

[di Gloria Ferrari]