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Corea del Sud: la campagna elettorale è stata giocata a colpi di deep fake

Con tutti gli eventi che stanno sconvolgendo il mondo, è facile non aver notato che la Corea del Sud sia appena andata al voto per eleggere il suo nuovo Presidente, Yoon Suk-yeol. La partecipazione alle urne è stata condizionata da un’ampia gamma di stimoli – stimoli che spaziano dal timore della Cina ai predominanti moti antifemministi – tuttavia a catalizzare le curiosità di tutto il mondo è stata piuttosto la scelta del candidato vincente di appoggiare la propria campagna elettorale alle nuove tecnologie, diffondendo sulla Rete dei suoi simulacri digitali che si muovono sulla linea dei deep fake.

Quando era pubblico ministero, Yoon è stato accusato a più riprese di aver ostracizzato le indagini nei confronti delle corruzioni e delle frodi legate all’universo politico, accuse che poi sono cadute nel nulla a causa della mancanza di prove. L’uomo di legge ha non di meno deciso di rassegnare le dimissioni per imbarcarsi in una politica fatta di retoriche populiste e misogine che, evidentemente, hanno avuto una buona presa sui cittadini sudcoreani. Allo stesso tempo, il suo staff elettorale si è reso immediatamente conto che la figura di un candidato over-60 ammantato da un retaggio filo-cleptocratico potesse cozzare con gli interessi elettorali delle generazioni più giovani, le quali sono frustrate da una situazione economica poco accogliente le cui derive soffocanti sono spesso attribuite alle scelte di un establishment anziano. Come appianare dunque una tale dissonanza?

La risposta è stata quella di trasformare Yoon in un influencer “mematico” attraverso video di pochi secondi in cui il politico si è prestato a commenti ironici e pungenti utili a toccare la massima viralità internettiana. Sono stati creati ad arte siparietti in cui il diplomatico viene “umanizzato” rispondendo – in differita – ai quesiti più giocosi postigli dal pubblico, inezie che vanno dalla sua lista della spesa alle sue opinioni riguardanti alla musica kpop. Innegabilmente una strategia arguta che però si appoggia su un importante elemento: lo Yoon in questione non era Yoon, ma un’“intelligenza artificiale” ideata ad hoc per evidenziare il sedicente lato umoristico dell’ex procuratore.

Nonostante i promotori dello strumento parlino esplicitamente di IA Yoon, l’avatar in questione non si lega effettivamente ad alcuna intelligenza artificiale, piuttosto rientra nel mondo dei fotomontaggi evoluti, visto che il feticcio virtuale ha attinto da decine di video del politico pur di simularne aspetto e tono di voce. Una volta creato il pupazzo digitale, un’equipe di copywriter si è occupata di garantirgli il soffio vitale appoggiandosi alla stesura di copioni accattivanti, i quali hanno poi fomentato l’appeal dello Yoon-umano nei confronti delle fasce anagrafiche che dei ventenni e dei trentenni. Ben consapevole che questo approccio avrebbe scatenato molte perplessità, lo staff elettorale ha giustificato i propri sforzi asserendo che, di persona, l’attuale Presidente eletto sia effettivamente molto divertente, alla mano, e che lo IA Yoon sia servito esclusivamente a mostrare al grande pubblico quel lato accogliente che solitamente rimane ben celato nella sfera privata.

L’opposizione non ha mancato di condannare questa ubiquità digitale come una forma di “frode” elettorale, sollevando perplessità che dovrebbero invero essere discusse da tecnici e da politici di tutto il mondo. Qual è il limite per cui la narrazione elettorale si trasforma in proselitismo e che ruolo ha l’identità digitale artefatta all’interno del processo democratico? Un dibattito che potrebbe essere interessante, se non fosse che è tenuto in scacco da un pragmatismo di rapido consumo che annichilisce ogni discussione etico-filosofica. Basti vedere alla stessa Corea del Sud: lo stesso Partito Democratico, fortemente critico nei confronti dello IA Yoon, è finito velocemente con il creare un avatar del candidato Lee Jae-myung, nel disperato tentativo di seguire una tendenza propagandistica di inquietante portata.

[di Walter Ferri]