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In Ecuador la corsa all’oro minaccia l’esistenza di 1500 comunità indigene

Il boom di estrazioni legali e illegali di oro nella regione amazzonica ecuadoriana ha causato  l’inquinamento dei fiumi e dei bacini idrici, rendendo impossibile l’approvvigionamento di acqua e pesce per le comunità locali. I livelli di contaminazione da metalli tossici, tra i quali alluminio e piombo, superano del 500% i livelli consentiti. Le conseguenze sulla popolazione, in termini di capacità di sostentamento e impatto sulla salute, sono ingenti. Alcune recenti sentenze della Corte Costituzionale, tuttavia, sembrano muoversi nella giusta direzione per restituire il potere decisionale alle comunità e corrispondere un adeguato risarcimento per i danni subiti.

L’estrazione legale e illegale dell’oro, in Ecuador, ha causato danni ambientali cospicui che hanno impatto diretto sul benessere e sulla possibilità di sopravvivenza della popolazione indigena. L’alto livello di contaminazione dei corsi d’acqua dolce ha causato in alcuni punti la scomparsa di tutti gli organismi viventi, compresi quelli che possono tollerare un certo livello di inquinamento acquatico. Nella provincia di Napo, in particolare, sono 1500 le comunità indigene la cui esistenza è minacciata dall’estrazione indiscriminata. Secondo le rilevazioni fatte da alcuni studiosi, il livello di metalli tossici nei fiumi supera del 500% i limiti consentiti. Inoltre è stato registrato un’altissimo tasso di contaminazione da mercurio, che viene utilizzato per legare le scaglie di oro e viene poi disperso nei corsi d’acqua contribuendo anche alla decimazione della fauna selvatica.

Le riserve minerarie esistenti nella provincia di Napo sono facilmente raggiungibili, elemento che costituisce un fattore di attrazione per le grandi industrie estrattive. In aggiunta a ciò, secondo i ricercatori, vi è un certo grado di complicità dei grandi proprietari terrieri e delle autorità ambientali, che non eseguono i controlli necessari e in alcuni casi avvertono in anticipo le aziende delle ispezioni, dando così la possibilità di occultare le attività illegali. Carlos Mestanza-Ramón, ricercatore presso l’Università della Calabria e la Scuola Politecnica di Chimborazo, in Ecuador, ha dichiarato a Mongabay [1] che il Ministero dell’Ambiente, dell’Acqua e della Transizione Ecologica non applica le misure necessarie alla tutela dell’ambiente e delle popolazioni locali.

Le politiche dell’ex presidente ecuadoriano Correa hanno favorito il boom di estrattivismo e investimenti stranieri nelle compagnie minerarie tra il 2015 e il 2016, mentre tra il 2019 e il 2022 un gran numero di concessioni minerarie sarebbero state rilasciate senza tenere in considerazione i progetti già esistenti. A fungere da ulteriore incentivo per l’estrazione mineraria indiscriminata, in un meccanismo che si accartoccia sempre più su sé stesso, vi sono le scarse possibilità per la popolazione locale di ottenere un lavoro ben retribuito, accesso all’assistenza sanitaria o all’istruzione di base. Le possibilità, d’altronde, sono decimate dall’attività delle industrie di estrazione, che deturpando e inquinando l’ambiente impattano direttamente sull’agricoltura e sul turismo.

Tuttavia, tra l’autunno del 2021 e l’inizio del 2022, gli indigeni hanno ottenuto una serie di vittorie legali che aprono uno spiraglio di speranza per il futuro delle comunità, che il più delle volte subiscono la deturpazione dei loro territori senza che sia rispettato il loro diritto al consenso libero, preventivo e informato. La Corte Costituzionale, in particolare, ha emesso due sentenze importanti, una che riconosce la violazione dei diritti della natura [2] nella foresta nebulosa di Los Cedros, in conseguenza della quale non sarà più possibile concedere permessi minerari alle imprese di estrazione ed è stato disposto il risarcimento delle comunità. L’altra, annunciata il 4 febbraio [3], è volta a garantire il diritto delle comunità indigene ad avere potere decisionale riguardo i progetti estrattivi nei loro territori. Iniziative che di certo non fermeranno l’avidità predatoria delle grandi aziende, ma che possono costituire un’importante strumento di tutela per le comunità locali.

[di Valeria Casolaro]