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Brasile, migliaia in piazza contro i progetti estrattivi nelle terre indigene

Migliaia di manifestanti si sono riuniti nella capitale del Brasile per protestare contro cinque disegni di legge in fase di valutazione da parte del Congresso. Se approvate, le proposte darebbero il via libera all’estrazione mineraria nelle terre indigene e allenterebbero i regolamenti sull’uso dei pesticidi e sulla deforestazione. L’enorme manifestazione è stata chiamata Stand for the Earth ed è nata proprio in opposizione al pacchetto di norme che gli ambientalisti hanno definito una “combo della morte”.

Per gli oppositori, i disegni di legge voluti dall’amministrazione Bolsonaro porterebbero ad una vera e propria legalizzazione di diversi crimini ambientali. Verrebbero, difatti, concesse attività estrattive commerciali nelle terre indigene minacciando i già precari diritti alla terra di decine di migliaia di popoli. Verrebbero inoltre ammorbiditi i requisiti per ottenere varie licenze ambientali nonché i regolamenti sull’uso dei pesticidi. Secondo molti, le norme legittimerebbero gli accaparratori terrieri e i taglialegna illegali in Amazzonia, dove la deforestazione ha già raggiunto livelli record [1] proprio sotto la guida del presidente di estrema destra. Il tutto poi sfruttando la guerra tra Russia e Ucraina come pretesto. «A causa del conflitto oggi corriamo il rischio di una mancanza di potassio o un aumento del suo prezzo – ha scritto [2] Bolsonaro su Twitter – la nostra sicurezza alimentare e il comparto agroalimentare esigono dall’esecutivo e dal parlamento misure che ci permettano di non dipendere da una risorsa di cui disponiamo in abbondanza».

Il Senato dovrà esprimersi su tre di questi disegni di legge nelle prossime settimane, mentre gli altri due verranno votati dalla Camera bassa. Ma, nel dettaglio, cosa prevedono [3] quindi queste controverse norme? Il primo disegno di legge istituirebbe il cosiddetto Marco Temporal, un vincolo legislativo secondo cui solo i popoli indigeni in grado di dimostrare che occupavano le loro terre prima della promulgazione della Costituzione Federale vi avrebbero diritto. Modificherebbe poi lo Statuto Indiano includendo “un contratto di cooperazione tra indiani e non indiani” affinché questi ultimi possano svolgere attività economiche nei terreni indigeni. Il secondo disegno in fase di valutazione consentirebbe, invece, lo sfruttamento delle terre ancestrali da parte di grandi progetti infrastrutturali e minerari, compresi quelli legati al petrolio e al gas naturale. Il terzo renderebbe più flessibile l’ottenimento di licenze ambientali per le nuove imprese ed opere prevedendo il rinnovo automatico di qualsiasi tipo di concessione ambientale. 14 settori produttivi, tra cui l’agricoltura estensiva e l’allevamento di bestiame, sarebbero esenti da vincoli e la costruzione di nuove opere potrebbe avvenire senza una valutazione del loro impatto né sulle sulle terre indigene né sulle Unità di Conservazione. Il quarto pacchetto normativo concederebbe l’amnistia per il reato di invasione di terre pubbliche per coloro che le hanno occupate tra la fine del 2011 e il 2014 permettendo la regolarizzazione di aree fino a 2.500 ettari senza che si passi per un’ispezione. Infine, il quinto ed ultimo disegno di legge permetterebbe la regolarizzazione delle occupazioni delle terre avvenute prima del 2008, quelle che dovrebbero essere destinate ai coloni della riforma agraria.

I manifestanti sperano quindi di convincere i legislatori a respingere o modificare i disegni di legge nonostante l’elevato sostegno che questi stanno ricevendo dalla lobby del business agroalimentare. «Nella loro forma attuale – ha dichiarato [4] Marcio Astrini, direttore esecutivo dell’organizzazione ambientalista Climate Observatory – queste norme sono un disastro. Fanno male al paese, fanno male all’ambiente, fanno male alla nostra reputazione internazionale e mettono a rischio la sopravvivenza dell’Amazzonia allontanando, inoltre, il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Anche se cambiassimo presidente e la gestione del Brasile sui temi ecologici, queste regole renderebbero comunque molto difficile combattere i crimini ambientali».

[di Simone Valeri]