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I profughi non sono uguali? Tra Ucraina e Polonia si passa in base al colore della pelle

Nuovi scenari, vecchie abitudini. Per quanto il sentimento antirusso esploso in seno alla guerra scatenata da Putin abbia fatto scattare una cortina di solidarietà in tutta l’Europa, sin da subito è stato evidente che non tutti i profughi avrebbero goduto dello stesso diritto di salvarsi. Questo perché nazioni come la Polonia, le cui politiche sull’accoglienza dei migranti sono note da tempo [1], mettono in atto pratiche di accoglienza selettiva. Sono numerose le denunce da parte di giovani africani, per la maggior parte studenti, che affermano di aver subito trattamenti violenti alla frontiera tra Ucraina e Polonia, o di vedersi precluso l’accesso a pullman e treni che li avrebbero portati fuori dalla nazione in guerra. Una situazione degenerata al punto da allarmare l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), che ha lanciato un appello ad una maggiore solidarietà e cooperazione nell’ambito del conflitto.

Sono un milione i profughi in fuga dall’Ucraina nella prima settimana di conflitto, secondo le stime dell’UNHCR. In un contesto del genere, la maggioranza dei Paesi europei si è detta disposta ad offrire accoglienza e protezione ai rifugiati. Tra questi anche la Polonia, la quale tuttavia ha dimostrato sin da subito di avere in serbo trattamenti discriminatori a seconda del passaporto dei rifugiati. Sono decine (e continuano a moltiplicarsi) i racconti di giovani profughi di origine africana picchiati e trattenuti [2] al confine tra Ucraina e Polonia. Mentre i cittadini ucraini transitano senza intoppi attraverso i valichi di frontiera, le persone di provenienza africana e indiana [3] rimangono bloccate. Si tratta per lo più di lavoratori o studenti, che negli ultimi 20 anni [4] hanno scelto l’Ucraina come meta perché l’offerta formativa risulta meno costosa rispetto agli Stati Uniti o altre nazioni europee. Le violenze, stando ai racconti, avvengono tanto dalle forze di polizia ucraine quanto da quelle polacche.

Stando a quanto riportato, le autorità di frontiera ucraine avrebbero creato due corridoi di transito verso la Polonia: uno per i cittadini ucraini e uno per gli stranieri residenti in Ucraina. Testimonianze di tali trattamenti sono state riportate anche dagli operatori delle organizzazioni umanitarie che intervengono sulla scena, i quali dichiarano come gli interventi lungo il confine polacco-ucraino siano organizzati su base razziale. Ad aggravare ulteriormente la situazione vi è la mancanza di cibo e acqua, il freddo e le nevicate intense.

Lo spettacolo mediatico della guerra in Ucraina è sotto gli occhi di tutti. Non si tratta più, a questo punto, di distinguere “profughi veri” e “profughi finti”, per usare la cristallina chiarezza espositiva di Matteo Salvini [10]. Si tratta di pura e semplice discriminazione razziale basata sul criterio più antico del mondo: il colore della pelle.

Non che si tratti di una novità: solo pochi mesi fa la Polonia aveva schierato lungo i propri confini 12 mila soldati per impedire ai rifugiati provenienti dal Medio Oriente di attraversare le frontiere, con il beneplacito dell’Unione europea. In un’Europa che è tornata a erigere muri [14] per “difendere” i propri confini non c’è poi molto da sorprendersi. Nemmeno per l’atteggiamento scarsamente tollerante [15] nei confronti di una proposta della Commissione europea di garantire la protezione anche ai residenti in Ucraina con passaporto di un altro Paese. A causa delle proteste di Stati quali Polonia, Austria, Ungheria e Slovacchia la proposta di garantire eguale protezione umanitaria a tutti i profughi provenienti dall’Ucraina è stata bocciata. Al suo posto si è optato per provvedimento in base al quale il profugo in fuga dall’Ucraina ma con passaporto di un Paese terzo “dovrebbe essere coperto dalla direttiva sulla protezione temporanea [DPT, che accorda un anno di protezione, prorogabile fino a tre, ndr] o dalla legislazione nazionale“. In poche parole: per tutti i cittadini ucraini è previsto il DPT, per gli altri gli Stati possono decidere da sé se concedere il DPT o agire in base alle proprie normative nazionali. Stessi profughi, stessa guerra, ma trattamenti diversi in base al passaporto. Il tutto con il via libera dell’Unione europea.

La stessa OIM si è detta “allarmata [16]”  in seguito alle “notizie verificate e credibili di discriminazione, violenza e xenofobia contro cittadini di paesi terzi che tentano di fuggire dal conflitto in Ucraina”, chiedendo alle nazioni confinanti con l’Ucraina di garantire un’accoglienza “non discriminatoria” e “culturalmente appropriata”. Le speranze che questo avvenga sono, evidentemente, alquanto scarse.

[di Valeria Casolaro]