- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Cos’è la riforma del catasto su cui il governo sta rischiando la crisi

Il governo rischia di cadere sulla riforma del catasto. Fino a pochi giorni fa sarebbe sembrata fantapolitica, invece il messaggio è passato molto chiaramente tra le file dell’esecutivo. Lo ha dichiarato Draghi e lo ha ribadito la sottosegretaria al ministero dell’Economia e delle Finanze, Maria Cecilia Guerra. Queste le sue parole: «Se l’articolo 6 non viene approvato si ritiene conclusa l’esperienza di governo». Si parla appunto dell’articolo 6 delle legge delega [1] sulla riforma fiscale e riguarda la revisione del catasto. Per quanto si tratti di disposizioni ancora poco specifiche, l’intento è la “modernizzazione” dei criteri di rilevazione, una nuova mappatura degli immobili (identificando gli abusivi e i terreni agricoli edificabili) e l’adeguamento dei valori catastali agli attuali prezzi di mercato, così come della rendita patrimoniale, prevedendo meccanismi di adeguamento periodico. L’intervento sarà effettivo a decorrere dal 1° gennaio 2026. Oggi è in programma la riunione della Commissione Finanze alla Camera in cui si affronterà il punto. La Lega è ancora intenzionata a sopprimere l’articolo 6 del progetto di riforma coadiuvata da Fratelli d’Italia, Il Partito Democratico e Italia Viva sono favorevoli, mentre Forza Italia si accolla l’onere di tentare una mediazione dopo aver pensato anche lei inizialmente a un emendamento che eliminasse la parte del catasto. In mezzo al guado, come ormai da copione, il Movimento 5 Stelle.

Cosa prevede la riforma

L’articolo in discussione prevede un nuovo sistema di mappatura degli immobili con nuovi strumenti per Comuni e Agenzia delle Entrate: i dati raccolti dovranno essere disponibili dal primo gennaio 2026. Lo scopo è fare emergere immobili e terreni non accatastati correttamente o “fantasma” (non registrati) e per i quali i proprietari non pagano tasse. Si prevede poi di rideterminare i valori di mercato delle abitazioni tenendo conto anche delle aree in cui sono costruiti, preparando inoltre una nuova mappa con l’aumento delle zone catastali nelle città. Secondo i fautori, insomma, il fine è semplicemente quello di “riattualizzare” le mappe catastali rendendole adeguata alla realtà dei fatti.

Lo zampino del Recovery Plan

Ma perché per il governo è così fondamentale? La questione va legata al Pnrr. [2] I prestiti inizieranno ad essere ripagati nel 2027. La nuova disciplina catastale entrerebbe in vigore l’anno prima. Il documento che illustra il Piano di Ripresa e Resilienza comprende anche, tra le vaste e vincolanti misure di accompagnamento [3], una riforma fiscale, vista come elemento prioritario per combattere le “debolezze strutturali del paese”. Cosa vuol dire nel concreto? Vuol dire che bisogna assicurarsi entrate fiscali sufficienti a far fronte ai debiti da ripagare. E la ricchezza principale degli italiani risiede nel loro patrimonio immobiliare. Se ce ne sarà bisogno, quindi, le tasse sugli immobili possono salire.

La protesta è dunque in ragione del pericolo di aumenti fiscali sulla casa e il potenziale ritorno dell’Imu sulla prima casa, elemento che da sempre per le destre rappresenta un punto su cui battersi. Discorso che vale più per l’area settentrionale dell’Italia che quella meridionale. Ma il proposito della riforma è anche far emergere gli immobili non censiti, circa 1,2 milioni. Più quelli accatastati ma che non figurano nelle dichiarazioni dei contribuenti, circa 2,1 milioni.

I numeri in ballo

Basandosi sull’ultimo rapporto [4] curato dal Mef e dall’Agenzia delle Entrate, vediamo che gli immobili in Italia sono 64,4 milioni. 34,9 milioni le abitazioni comunemente intese. La somma delle rendite catastali (cioè la somma imponibile dal fisco) degli edifici di gruppo A, esclusi gli uffici, è di 16,9 miliardi di euro, corrispondente a una media di 500 euro annui. Secondo le stime, è il 10-15% in meno in rapporto ai potenziali guadagni di un affitto. C’è poi un’anomalia che il governo vuole sanare, ovvero quel caso in cui due coniugi vivono concretamente nella stessa casa ma sono formalmente residenti in altre. Di fatto, la loro reale abitazione agli occhi del fisco non rappresenta una “prima casa”. Mancherebbero così all’appello circa 1,5-2 milioni di effettive prime case, come abbiamo detto all’inizio, con i benefici fiscali che ciò comporta. Infatti, da qualche anno l’Imu sulla prima casa non è più obbligatorio per tutti ma solo per alcune specificità.

Le prospettive

Bisogna comunque ponderare bene gli effetti di una riforma del genere. Il governo assicura che non influirà sul gettito totale legato agli immobili (40 miliardi, di cui circa 20 l’Imu e gli altri derivanti da altre tasse), ma questo non vuol dire che singolarmente un cittadino non possa pagare di più. In quanto aumenterebbero i parametri Isee, facendo perdere il diritto ad alcune agevolazioni. Si presume anche una revisione delle aliquote, dunque una redistribuzione del carico. Redistribuzione ragionevole per certi versi (pensiamo alle fasce proprietarie di seconde case, su cui l’Imu si paga) ma insidiosa per coloro che potrebbero vedersi dimezzato il valore delle proprietà. Per questo è da scongiurare la conseguenza indiretta degli aumenti dei prezzi degli affitti.

[di Giampiero Cinelli]