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Le élite globali in 100 giorni hanno emesso più CO2 di tutta l’Africa

1,7 miliardi di tonnellate: questa la quantità di CO2 rilasciata dall’1% più ricco della popolazione mondiale in poco più di 100 giorni. Una cifra superiore a quella emessa dall’intero continente africano nello stesso periodo. A denunciare questa ingiustizia l’organizzazione internazionale Oxfam, in occasione della diffusione del nuovo rapporto [1] del Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC). Una stima dal forte impatto che sottolinea l’ipocrisia politica sulla questione climatica. Sono infatti trascorsi 100 giorni dalla COP26, il summit a cui ha partecipato buona parte di quel 1%, in certi casi persino raggiungendo la sede a Glasgow a bordo di jet privati [2] altamente inquinanti.

Il divario si fa sentire. Nel complesso, le popolazioni dei paesi in via di sviluppo – quelle in assoluto meno responsabili dell’attuale crisi climatica – sono le stesse che ne subiscono gli effetti più devastanti. Al contrario, il più ricco Nord del mondo – cui è attribuibile gran parte della responsabilità – continua ad inquinare ed emettere gas climalteranti in relazione a degli stili di vita insostenibili ma ormai consolidati. Per queste ragioni, proprio alla COP26, i rappresentanti dei paesi più poveri hanno ribadito la necessità che fossero quelli benestanti a pagare i costi del cambiamenti climatico, ottenendo, tuttavia, dei magri risultati. Ad oggi, solo un quarto di tutte le risorse per il clima destinate ai paesi vulnerabili riguarda l’adattamento. L’accordo di Glasgow, sebbene preveda che vengano raddoppiate fino a 40 miliardi di dollari entro il 2025, non ha ancora incassato risultati sufficienti. L’Onu, infatti, stima che per rendere resilienti i paesi in via di sviluppo servano almeno 70 miliardi l’anno.

«Le persone che vivono nei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici – ha dichiarato [3] Nafkote Dabi, portavoce di Oxfam sui cambiamenti climatici – non avevano bisogno del report dell’IPCC per rendersi conto di quanto stia accadendo nella loro vita. A pagare il prezzo più alto sono per esempio i piccoli allevatori della Somalia che hanno visto morire di sete le loro greggi, le famiglie nelle Filippine che hanno perso la loro casa, spazzata via da un ciclone poco prima di Natale». E l’Africa, in particolare, oggi abitata da 1,4 miliardi di persone, è in questo momento una delle aree del mondo più colpite e meno preparate a resistere all’impatto dei cambiamenti climatici. «Le immani sofferenze denunciate nel report dell’IPCC – ha concluso Dabi – devono essere un campanello d’allarme per tutti. Per questo, i paesi ricchi devono farsi carico morale ed economico di sostenere l’adattamento delle comunità più vulnerabili a eventi climatici sempre ormai più estremi e imprevedibili».

[di Simone Valeri]