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Perù: stop al proibizionismo, via al patto sociale con i “cocaleros”

In Perù, il governo di Pedro Castillo dimostra di voler imporre una concreta rottura con il passato e adotta una nuova politica di lotta alle coltivazioni di droga, basata su un nuovo tipo di patto sociale piuttosto che sulla repressione. Castillo si era già dimostrato una figura innovativa nel panorama politico peruviano degli ultimi decenni per le posizioni di “zero tolleranza” nei confronti delle multinazionali dopo il caso Repsol [1], non lasciandosi intimidire dalla minaccia di ripercussioni da parte della multinazionale. Ora il presidente approva una politica in netta rottura con il modello americano di contrasto alla droga con il quale si è perseverato in Perù e altre zone di produzione dell’America Latina negli ultimi decenni e i cui risultati sono stati nulli, portando anzi ad un incremento del traffico e dello spaccio di stupefacenti.

Quella proposta da Pedro Castillo, presidente del Perù da giugno 2021, e Ricardo Soberón, nuovo capo delle politiche antidroga in Perù e presidente esecutivo della Commissione nazionale per lo sviluppo della vita senza droghe (Devida) è una soluzione del tutto innovativa, che cambia del tutto l’approccio alla lotta allo spaccio di sostanze stupefacenti, guardando al fenomeno da tutt’altro punto di vista. Il patto sociale [2] con i cocaleros, ovvero i coltivatori della pianta di coca, vuole infatti favorire una “eradicazione volontaria, pacifica e progressiva” delle coltivazioni di coca, offrendo ai contadini mezzi alternativi di sostentamento.

In Perù sono infatti 150 mila le famiglie contadine che vivono della coltivazione di piante di coca, per un totale di 61 mila ettari di terreno coltivati e circa 600 tonnellate di cocaina prodotte ogni anno (stime ufficiali del Governo, di molto inferiori a quelle stilate dagli Stati Uniti). L’80% della cocaina prodotta in Perù è destinata allo smercio in Europa, il 20% agli Stati Uniti, i quali si riforniscono soprattutto di cocaina prodotta in Colombia. La repressione violenta e la criminalizzazione dei cocaleros non ha fornito ad oggi alcuna soluzione concreta al problema della vendita di cocaina, perché alla criminalizzazione dei contadini non è seguita alcuna iniziativa per favorirne il transito ad nuovi mezzi di sostentamento.

«La politica di criminalizzazione dei cocaleros ha fallito e deve cambiare» spiega Soberón: «Continuare con una eradicazione come fino ad ora senza verificarne la sostenibilità porta a perdere denaro e generare conflitti e nuovi focolai di produzione di coca. Fino ad ora non vi è stata una sincronizzazione tra eradicazione e sviluppo alternativo per gli agricoltori, ora la vogliamo ottenere». L’idea alla base del patto sociale, quindi, è sostituire l’intervento sociale a quello poliziesco e repressivo, dopo che quest’ultimo si è dimostrato del tutto inefficace perché non in grado di offrire alternative ai contadini per il proprio sostentamento, portando quindi le dinamiche a ripetersi dopo ogni intervento.

Come dimostrano decenni di studi del settore, il proibizionismo costituisce una politica del tutto inefficace per la lotta allo spaccio di sostanze stupefacenti. Come denunciato dal rapporto [3] della Global Commission Drug Policy pubblicato nel dicembre 2021, il piano d’azione estremamente semplificato dell’usare il pugno duro contro la delinquenza non ha portato all’eradicazione della problematica delle droghe, ma ha anzi diretto la tendenza del mercato verso una sempre maggiore diversificazione ed espansione. Nel 2019 [4], 329 ONG hanno approvato un rapporto per chiedere ai leader mondiali una riforma integrale delle politiche antidroga, dopo che i dati rilevati hanno constatato come nel decennio 2009-2019 i decessi per droga fossero aumentati del 60% arrivando a un numero di 450 mila all’anno, circa 50 ogni ora.

In Perù, le questioni legate alla droga sono state definite, fino al 2021, dal CORAH [1], il Progetto speciale per il controllo e la riduzione della coltivazione di coca. Tale progetto fu creato nell’Ambito dell’Accordo di Cooperazione del 1981 tra Perù e USA e, per quanto dipenda dal Ministero dell’Interno peruviano, è sempre stato interamente finanziato dai NAS (la Sezione narcotici) dell’ambasciata statunitense in Perù. Il CORAH, sotto probabile spinta degli Stati Uniti, di imporre le proprie politiche anche a Castillo, il quale tuttavia ha dimostrato di voler seguire ben altra linea. Come fa notare Hugo Cabieses, economista esperto di questioni legate alla cocaina in Perù, “l’approccio criminale-poliziesco eradicante e repressivo non ha funzionato in nessun luogo del pianeta e lo stesso vale per altri crimini: l’ONU, l’UE e gli studiosi in materia lo riconoscono, ma gli USA no”.

Castillo, uscito per un soffio vincitore dalle elezioni del 2021 che lo vedevano concorrere con la candidata conservatrice Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, dimostra ancora una volta di voler rappresentare una rottura con decenni di politiche neoliberiste e filoamericane, offrendo un importante cambio di rotta nella politica peruviana.

[di Valeria Casolaro]