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La pace va preparata, non la guerra: il pensiero di Tolstoj e quello di Kennedy

Forse i politici non sono più all’altezza della politica. E qual è il primo mestiere di un politico? Preparare la pace. Il crollo dell’Urss era stato visto soltanto come una vittoria , come un gigantesco passo in avanti che aveva prodotto il ridimensionamento dell’influenza del comunismo. Ma, passata l’euforia, bisognava occuparsi di mettere in piedi relazioni culturali con la Russia e con l’Est europeo: progetti comuni a lungo respiro, intese economiche fondate su una vera reciprocità, non soltanto sul fabbisogno energetico, così da ridisegnare nuove frontiere immaginarie capaci di superare i confini reali. Mettere in secondo piano gli imperativi di facciata determinati dai grandi equilibri internazionali. Non credere mai di essere pregiudizialmente dalla parte giusta. Lavorare oscuramente, prudentemente, incessantemente per la pace sfidando gli interessi immediati, le convenienze dettate dalla passività.

Questa non è utopia, è primato di una politica che sa prospettare soluzioni prima che si aggravino i problemi, una politica che si allena, che sta attenta a non invecchiare sui pregiudizi. Politici dunque che studino, che evitino gli espedienti, che diano credito a idee nuove, facendo però tesoro di quelle buone del passato. Per questo ho pensato di rispolverare vecchie, sempre nuove parole di Lev Tolstoj (1865) e di John F. Kennedy (1959). Eccole. Parole dal passato che ancora hanno molto da insegnare.

“Se si concede, come fanno gli storici, che i grandi uomini conducano l’umanità verso il raggiungimento di determinati fini, consistenti nella grandezza della Russia o della Francia, o nell’equilibrio dell’Europa, o nella diffusione delle idee della Rivoluzione, o nel progresso universale, o in qualsivoglia altra cosa, parrebbe impossibile spiegare i fenomeni storici facendo a meno del caso e del genio. Tuttavia sarebbe sufficiente riconoscere, semplicemente, che quale sia stato lo scopo delle agitazioni dei popoli europei, il significato fondamentale, essenziale, degli avvenimenti europei sta nel movimento di massa, di carattere militare, dei popoli d’Europa dall’occidente verso l’oriente, e poi dall’oriente verso l’occidente. Posto, tuttavia, che il fine delle guerre europee del principio dell’Ottocento consistesse nella grandezza della Russia, a tal fine si sarebbe potuti pervenire senza l’invasione napoleonica e senza di nessuna delle guerre che la precedettero. Posto che quel fine fosse nella grandezza della Francia, vi si sarebbe potuti pervenire anche senza la Rivoluzione e l’Impero. Posto che quel fine fosse nella diffusione delle idee, la stampa e la circolazione dei libri vi avrebbero potuto provvedere assai meglio dei soldati. Posto che quel fine fosse nel progresso, è ben lecito avanzare l’ipotesi che, oltre l’annientamento di esseri umani e dei loro beni, esistano vie più dirette e adeguate per la diffusione della civiltà”. (L. Tolstoj, Guerra e pace. Epilogo).

“Oggi la nostra nazione, più che dell’energia atomica, più che degli aerei, o della potenza finanziaria e industriale, addirittura più che della forza umana, ha bisogno di energia intellettuale… Non confondiamo però la forza intellettuale con la forza verbale… Le parole non bastano. I missili non bastano. Gli atomi non bastano. Non sono la soluzione. Noi abbiamo bisogno soprattutto di un flusso costante di idee nuove – e di un governo, di una nazione, di una stampa, di un’opinione pubblica che rispettino coloro che esprimono idee nuove. In passato il nostro paese ha superato crisi gravissime, e non per la sua ricchezza, non per la sua retorica, non perché possedevamo automobili più lunghe e frigoriferi più grandi e schermi televisivi più ampi d’ogni altro popolo, ma perché le nostre idee avevano più forza e più penetrazione e più saggezza e più tenacia. E, quel che forse più conta, noi incoraggiavamo tali idee: quelle consuete e quelle stravaganti, quelle radicali e quelle tradizionaliste… Dobbiamo tenere aperta la porta agli ospiti di tutto il mondo. Ma soprattutto dobbiamo essere pronti alla critica, alle idee nuove, alla polemica e alla scelta, alla riflessione e ai ripensamenti. Solo in questo modo possiamo dimostrare che la libertà è pegno di sicurezza, e che la verità può farci liberi”. (John F. Kennedy, Congresso sulle libertà civili, 16 aprile 1959).

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]