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La Tanzania sta cercando di cacciare i Maasai dalle terre ancestrali

Il governo della Tanzania ha deciso di sfrattare 70 mila pastori Maasai dalle proprie terre ancestrali per affittarle a una società degli Emirati Arabi Uniti, che trasformerà la zona in un’area di caccia e turismo d’élite. Il provvedimento costituirebbe un vero e proprio atto di forza da parte del governo, dal momento che un’ingiunzione della Corte di giustizia dell’Africa orientale aveva già disposto nel 2018 il divieto di allontanamento coatto della comunità Maasai dai propri territori.

Il governo tanzaniano ci aveva provato l’ultima volta nel 2017 [1]: nell’agosto di quell’anno circa 185 boma, le abitazioni tradizionali Maasai, erano state date alle fiamme dai ranger e dalla polizia nella divisione di Loliondo, distretto di Ngorongoro, nella regione di Arusha. Un totale di circa 6800 persone era stata costretta con la forza e con le minacce ad abbandonare i propri villaggi in seguito agli sgomberi forzati, azione cui era seguito il sequestro del bestiame e l’arresto arbitrario di diversi individui. A quel criminale atto di forza aveva fatto seguito, nel 2018, una sentenza [2] della Corte di giustizia dell’Africa orientale (EACJ), la quale aveva sancito il divieto per il governo della Tanzania di sfrattare la comunità Maasai dalle terre ancestrali legalmente registrate nella divisione di Loliondo, una zona di 1500 km quadrati di ampiezza della quale i Maasai sono legalmente proprietari.

Nonostante ciò, ad oggi 70 mila indigeni Maasai, distribuiti in 15 villaggi, rischiano nuovamente lo sfratto [3], dopo che il governo ha deciso di concedere i territori ancestrali nei quali risiedono alla Otterlo Business Corporation (OBC), una società degli Emirati Arabi Uniti che si vocifera appartenga alla famiglia reale. Il territorio verrebbe trasformato in una zona di caccia e turismo d’élite, mentre la popolazione indigena sarebbe reinsediata nella Ngorongoro Conservation Area, riserva protetta e patrimonio mondiale UNESCO.

Secondo quanto dichiarato da un leader Maasai a Mongabay, sarebbe stato il commissario regionale per la regione di Arusha John Mongella a comunicare le intenzioni del governo alla comunità Maasai di Loliondo, sottolineando come l’affitto dei terreni costituirebbe una questione di “interesse nazionale” che dovrebbe perciò essere prioritaria anche per la popolazione Maasai. “Il mito delle aree protette non solo ci priva dei nostri diritti come persone, ma anche della nostra capacità di esercitare le nostre responsabilità relative alla terra” ha dichiarato il leader.

Il legame con la terra costituisce un elemento centrale nella cultura Maasai. La popolazione gestisce infatti da tempo l’area in modo sostenibile, riuscendo ad estrarre le risorse necessarie alla sopravvivenza in un territorio estremamente povero e arido. Lo spezzarsi di tale relazione simbiotica con la terra, in particolare per destinarla a turismo e caccia, potrebbe avere un impatto negativo sull’ambiente e sulla fauna, esponendo la comunità al rischio di fame e povertà. Sottrarre le terre agli indigeni per farne delle aree protette o delle zone di conservazione è un evidente pretesto per cacciare in modo violento le popolazioni locali dalle terre che appartengono loro di diritto e che meglio di tutti sanno come tutelare e curare, per trasformarle in fonti di introito per lo Stato.

La popolazione Maasai è decisa a non abbandonare i propri territori: nell’area sono già stati registrati diversi scontri e proteste, mentre alcuni leader hanno già presentato ricorso alla EACJ contro la decisione del governo, sottolineando come questa costituisca una chiara violazione al provvedimento del 2018.

[di Valeria Casolaro]