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Non c’è nessuna trasparenza sui dati dei vaccini: ora lo scrive anche il New York Times

Il CDC (Centers for Disease Control and Prevention), ovvero l’organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti, non sta pubblicando molti dei dati relativi al Covid in suo possesso: a sostenerlo è il quotidiano statunitense New York Times, secondo cui a mancare sarebbero in maniera particolare quelli sull’efficacia della dose booster dei vaccini. “Per più di un anno, il CDC ha raccolto dati sui ricoveri per Covid-19 negli Stati Uniti suddividendoli per età, razza e stato di vaccinazione, ma non ha reso pubbliche la maggior parte delle informazioni”, si legge all’interno dell’articolo [1] del quotidiano, il quale ritiene che “quando il CDC ha pubblicato i primi dati significativi sull’efficacia dei booster negli adulti di età inferiore ai 65 anni due settimane fa, ha omesso quelli relativi ai soggetti dai 18 ai 49 anni”. Dunque, a non essere stati diffusi sarebbero i dati di una “enorme fetta” della popolazione in questione, che tra l’altro avrebbe “meno probabilità di beneficiare di dosi extra”.

Mancando i dati relativi al richiamo vaccinale negli individui sopracitati, quindi, gli “esperti esterni a cui le agenzie sanitarie federali si rivolgono per ottenere un parere hanno dovuto fare affidamento sui dati di Israele per formulare le loro raccomandazioni sulle iniezioni”. Di conseguenza, ci si chiede per quale motivo sarebbero stati omessi dati che avrebbero permesso di comprendere in maniera migliore se soggetti sani avessero effettivamente bisogno di sottoporsi al booster, e la risposta a tale domanda sarebbe arrivata direttamente da Kristen Nordlund, portavoce del CDC, la quale avrebbe spiegato al New York Times che il motivo risiederebbe, tra l’altro, nel fatto che le informazioni potrebbero essere interpretate erroneamente. In tal modo, Nordlund avrebbe così confermato quanto comunicato al quotidiano da un non meglio specificato “funzionario federale”, secondo cui l’agenzia sarebbe stata appunto riluttante a rendere pubblici i dati proprio perché sarebbero potuti essere interpretati erroneamente come dati a favore dell’inefficacia dei vaccini. Oltre a ciò, Nordlund avrebbe altresì dichiarato che i dati rappresenterebbero solo il 10% della popolazione degli Stati Uniti: eppure il CDC – ricorda il New York Times – “ha fatto affidamento per anni sullo stesso livello di campionamento per monitorare l’influenza”.

A tutto ciò si aggiunga il fatto che l’anno scorso l’agenzia è stata “ripetutamente criticata” poiché non avrebbe tracciato le “cosiddette infezioni rivoluzionarie negli americani vaccinati” (ossia i casi di individui contagiatisi nonostante fossero vaccinati) e si sarebbe invece concentrata solo sui soggetti ammalatisi gravemente e dunque ricoverati in ospedale o morti. Il problema, fondamentalmente, è che l’agenzia avrebbe infatti “presentato queste informazioni per effettuare un confronto del rischio con gli adulti non vaccinati, piuttosto che fornire istantanee tempestive di pazienti ospedalizzati stratificati per età, sesso, razza e stato vaccinale”. Eppure il CDC, secondo il funzionario federale sopracitato, avrebbe raccolto regolarmente informazioni a riguardo da quando i vaccini Covid sono stati lanciati.

Un’altra questione sollevata dal New York Times, poi, è quella relativa all’analisi delle acque reflue, con cui è possibile capire se sia imminente una nuova ondata di casi Covid. Il CDC, infatti, ha recentemente lanciato sul suo sito Web una dashboard [2] sui dati delle acque reflue da aggiornare quotidianamente, tuttavia ciò sarebbe stato fatto con ritardo dato che alcuni Stati “avevano condiviso le informazioni sulle acque reflue dall’inizio della pandemia”. Va detto però che la lentezza del CDC nel rendere pubblici i dati sembrerebbe essere comprensibile in quanto, come affermato dalla Nordlund, il CDC avrebbe dato la possibilità di “presentare i dati negli ultimi mesi”. Tuttavia, secondo il New York Times il CDC avrebbe comunque rilasciato i dati una settimana dopo il previsto, mentre il tracciatore dei livelli di Covid nelle acque reflue statunitensi verrebbe “aggiornato solo il giovedì e il giorno prima della data di rilascio originale”.

Detto questo, bisogna infine ricordare che la preoccupazione per l’interpretazione errata dei dati non riguarda solo le agenzie statunitensi ma anche quelle scozzesi. Public Health Scotland, l’ente nazionale che si occupa della sanità pubblica in Scozia, ha infatti scritto all’interno del suo recente rapporto statistico [3] sul Covid che “a causa del crescente rischio di interpretazioni errate, non segnalerà più i casi di Covid-19, ricoveri e decessi per stato vaccinale su base settimanale”.

[di Raffaele De Luca]