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La Russia riconosce l’indipendenza del Donbass ed entra con le truppe sul territorio

Quando il fuso orario di Roma batteva le 19:04 di ieri, 21 febbraio 2022, il presidente della Russia Vladimir Putin ha deciso di rompere gli indugi. In diretta televisiva ha comunicato ai cittadini la decisione di riconoscere l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche popolari di Donestsk e Luhansk, le provincie ribelli filo-russe all’interno del territorio dell’Ucraina, ed ha firmato un trattato di mutua assistenza con i presidenti delle due entità. Nel discorso il presidente russo si è spinto sostanzialmente a negare per tutta l’Ucraina lo status di nazione: «L’Ucraina non è un Paese confinante, è parte integrante della nostra storia, cultura, spazio spirituale. È stata creata da Lenin, che è stato il suo creatore e il suo architetto. […] L’Ucraina non ha mai avuto una tradizione coerente dell’essere una vera nazione». Poche ore dopo l’ulteriore mossa: Putin, nel decreto con il quale ha riconosciuto le repubbliche separatiste, ha ordinato al ministero della Difesa russo di dispiegare forze armate «per assicurare la pace» nel Donbass, in seguito alla richiesta dei leader delle due entità filo-russe.

La conseguenza di tali atti è militarmente e geopoliticamente chiara e immediata: la Russia ha in buona sostanza annesso unilateralmente oltre 50.000 km2 di territorio ucraino ai propri confini e, solo facendolo, ha mandato un ultimatum a Kiev: il prossimo colpo sparato nella regione sarà vissuto come un attacco diretto da parte di Mosca e scatenerà una risposta militare per “mantenere la pace” in quello che da oggi è suo territorio.

In verde l’Ucraina, in rosso la Russia, tratteggiate le regioni del Donbass (da ieri riconosciute da Mosca) e della Crimea (già annessa con un referendum nel 2014)

L’Ucraina quindi può scegliere tra due sole opzioni, una umiliante e l’altra suicida: accettare la sottrazione di una porzione del proprio territorio senza colpo ferire oppure entrare in guerra contro il gigante russo. Per la verità il presidente ucraino Zelens’kyj sta cercando di percorrere una improbabile terza via: nel discorso alla nazione inziato alle 01:00 ha affermato che non intende rinunciare a nessun territorio ma ha ribadito che «l’Ucraina vuole la pace» e che «intende risolvere tutto con la diplomazia». Le due cose non stanno insieme ma, data la situazione, difficilmente avrebbe potuto permettersi di dire qualcosa di diverso. Le orecchie delle cancellerie, ad ogni modo, sono certamente più attente a quanto viene detto da Washington, protettore dell’esistenza dell’Ucraina stessa. Ancor prima che Zelens’kyj parlasse il presidente americano Joe Biden aveva emesso il primo ordine, vietando ogni attività commerciale, ogni importazione ed ogni esportazione da parte di tutti i cittadini e società statunitensi con i territori di Donestsk e Luhansk. Nel documento [1] trasmesso al Congresso il presidente Usa ha definito la situazione «una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti». Altre azioni seguiranno: a questo punto ovvie ulteriori sanzioni economiche verso Mosca da parte di Washington e molto probabilmente anche da parte dell’Unione Europea. Ovvio anche che da Mosca queste risposte siano state ampiamente messe in conto e le contromosse attentamente studiate nelle ultime settimane. Le conseguenze economiche per la Russia saranno salate, come testimoniato dal pronto crollo, tra il -15 e il -30%, di tutti i titoli quotati alla borsa di Mosca. Ma saranno tutt’altro che trascurabili anche per l’Europa, che in questi mesi ha assaggiato cosa significa non poter contare appieno sul gas russo.

Nel frattempo dal Donbass arrivano scene di giubilo popolare. La popolazione è scesa in strada con le bandiere russe e per una notte i botti dei fuochi d’artificio si sono sostituiti a quelli dei fucili. Nel 2014 in Ucraina si verificò la cosiddetta “rivoluzione arancione” che sottrasse il potere ai filo-russi, da allora il Donbass è entrato in guerra per l’indipendenza e la riannessione a Mosca: in otto anni la guerra ha provocato [2] oltre 13.000 vittime e 1,5 milioni di sfollati. Paradossalmente quella che nel resto del mondo viene letta come la notizia che segna il possibile scoppio di una guerra pericolosissima, nel Donbass stesso viene vista come la cosa più vicina alla pace conosciuta negli ultimi anni. Chi avrà ragione lo scriverà la storia nelle prossime settimane.

[di Andrea Legni]