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Cosa sta succedendo realmente in Donbass?

Negli ultimi giorni sono state diverse le notizie provenienti dalla regione Donbass che lasciano presagire che una guerra in Ucraina sia ormai imminente. Di certo c’è che da una parte e dall’altra si spara, facendo vaccillare l’esile tregua; di certo c’è inoltre lo stato di massima allerta diffuso dalle autorità russe e ucraine nonché gli ordini di evacuazione dei connazionali disposti dalle cancellerie internazionali. Le parti coinvolte nel conflitto, esercito ufficiale ucraino da una parte e milizie popolari fedeli a Mosca dall’altra, si incolpano a vicenda di violare la tregua e volere una escalation milatare, spesso facendo uso di fake news come armi per orientare l’opinione pubblica mondiale.

Per capire meglio il conflitto in corso, è utile capire prima di tutto a cosa ci si riferisce quando si parla di Donbass. Stando ad una nota enciclopedia [1], per Donbass si intende quella “vasta regione dell’Europa orientale, appartenente quasi per intero all’Ucraina e per un piccolo tratto alla Russia; comprendente parte del bacino del Donez e dello Dnepr. Sono presenti vasti giacimenti di carbone. La vicinanza dei giacimenti ha favorito il sorgere dell’industria siderurgica, cui si sono poi affiancati complessi meccanici, chimici e metallurgici”. È proprio nelle zone della regione appartenenti all’Ucraina che nel 2014, all’indomani della cosidetta “rivoluzione arancione” che in Ucraina fece cadere il governo filo-russo di Victor Janukovyč, la popolazione locale dichiarò la propria indipendenza da Kiev (tramite un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale) e la fondazione delle repubbliche popolari di Doneck e Lugansk. Dalla dichiarazione di indipendenza iniziarono i primi scontri armati che, fino ad oggi, in queste due provincie, non si sono mai fermati. In questi 8 anni infatti sono state oltre 13.000 le vittime stimate e 1,5 milioni gli sfollati [2]. I tentavi per trovare una soluzione diplomatica alla crisi in Ucraina non sono mancati: nel 2014 erano stati siglati i Protocolli di Minsk [3] tra Russia e Ucraina con la mediazione di Francia e Germania, implementati poi nel 2015 con una serie di nuove misure note come Minsk II. Tentativi che però non hanno mai portato ad un cessate il fuoco duraturo, dato che le violazioni nel corso degli anni sarebbero state oltre 2.000 [4].

La crisi nel Donbass non è però esclusivamente collegata a questioni locali, ossia la volontà delle repubbliche popolari di autodeterminare il proprio destino e quella di Kiev di non perdere parti del suo territorio. Sull’Ucraina sono in gioco anche gli interessi geopolitici di Europa e Stati Uniti. E proprio questo rende difficile l’interpretazione degli avvenimenti, dato che ogni lettura può essere interpretabile in base agli interessi delle parti coinvolte.

Quello che appare evidente è che, da quando si è iniziato a parlare di una guerra imminente nell’ottobre del 2021, a seguito dell’ammassamento di truppe russe presso il confine con l’Ucraina [5], le tensioni preesistenti sono state di fatto esacerbate dalla strumentalizzazione che ne hanno fatto i media. E probabilmente lo stesso è avvenuto anche per gli avvenimenti degli scorsi tre giorni. Testate locali e media internazionali non hanno esitato a gettare benzina sul fuoco riportando spesso informazioni di dubbia autenticità oppure utilizzando titoli quasi apocalittici. Alcuni dati posso aiutare a comprendere meglio il conflitto, per capire se questa crisi recente sia di fatto collegabile ad effettivi scontri armati oppure no. Da un report dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite [6] per i diritti umani si evince che negli anni i morti tra la popolazione civile causati dal conflitto in Donbass sono andati sensibilmente calando. Nel 2014 i morti erano stati 2084, 954 nel 2015 fino ad arrivare ai 26 del 2020. Numeri che evidenziano come le fasi più intense dei combattimenti risalissero ai primi due anni del conflitto e che gli scontri più recenti siano il probabile risultato delle schermaglie tra due eserciti assestati sulle loro posizioni. La volontà di una delle parti di conquistare l’altra, come è stata raccontata in questi ultimi mesi, da questi numeri non risulta. Chiaramente non si può escludere l’eventualità che la situazione possa degenerare da un momento all’altro. Di certo l’escalation continua a registrarsi nelle parole degli attori in campo. La Russia ha descritto i recenti bombardamenti da parte dell’esercito ucraino come un tentativo di genocidio ai danni delle repubbliche popolari. Mentre i leader delle due Repubbliche Popolari hanno dato il via all’evacuazione di tutta la popolazione civile verso la Russia e annunciato una piena mobilitazione militare degli uomini. Come da copione il governo di Kiev riporta invece una versione esattamente opposta: per il governo Zelens’kyj sono i russi ad aver cominciato bombardando le posizioni ucraine e causando anche diversi morti, tra cui due militari. Vista da Kiev l’escalation di questi ultimi tre giorni è un pretesto creato ad arte dal Cremlino per dare il via all’invasione. Un giornale della capitale ha addirittura pubblicato un articolo [7] secondo cui gli Stati Uniti avrebbero informazioni credibili a sostegno del fatto che Mosca stia preparando una lista di personaggi di spicco ucraini da uccidere o mandare nei campi di concentramento.

Che gli avvenimenti nel Donbass vengano strumentalizzati non sorprende, bisogna però riconoscere che, alla luce delle recenti tensioni, anche avvenimenti che pochi mesi prima sarebbero passati in secondo piano possano ora essere causa di forte preoccupazione. In un articolo precedente avevamo sottolineato come, in relazione alla questione ucraina, il vero pericolo [8] potesse arrivare proprio dalle azioni sconsiderate da parte dei gruppi paramilitari presenti sia tra le file dell’esercito ucraino che tra quelle filo-russe. E che tali azioni, per anni considerate schermaglie, ad oggi potessero costituire un vero e proprio “casus belli”. Né Kiev, né Mosca, né Washington né tantomeno l’Unione Europea hanno come principale obiettivo quello di entrare in una guerra aperta, e infatti anche in questi giorni di forte tensione si continua a lavorare ad una soluzione diplomatica. Resta però il rischio che questi attori ci vengano trascinati dentro ad una. Una guerra avrebbe costi altissimi a livello umano ed economico, per tutte le parti coinvolte, che spingerebbe qualunque persona razionale al non volerla. Purtroppo sappiamo bene che spesso le scelte della politica hanno poco a che vedere con il buon senso, ma piuttosto con i vantaggi-svantaggi in termini di costi politici.

[di Enrico Phelipon]