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Perché cannabis ed eutanasia sono temi che non meritano di sparire dal dibattito

I quesiti referendari sull’eutanasia e sulla cannabis, come è ormai noto, sono stati entrambi bocciati da parte della Corte costituzionale. Ad illustrarne i motivi è stato il presidente della Consulta Giuliano Amato, il quale ieri ha spiegato che vi sarebbero sostanzialmente stati alcuni errori nella compilazione dei quesiti. Quello sull’eutanasia avrebbe in realtà riguardato «l’omicidio del consenziente» – previsto dall’articolo 579 [1] del Codice penale – che sarebbe stato lecito in «casi ben più numerosi di quelli relativi all’eutanasia», mentre il quesito sulla cannabis avrebbe fatto riferimento «all’articolo 73 [2] comma 1 della legge sulla droga» facendo in realtà scomparire «tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, quelle che includono le cosiddette droghe pesanti». Ad ogni modo, a prescindere dalla reale sussistenza di tali errori, ciò che è certo è che nonostante i quasi 2 milioni di firme a supporto dei quesiti i cittadini non potranno esprimersi a riguardo. Si tratta però di due temi che non meritano, per molteplici ragioni, di sparire dal dibattito pubblico e politico.

Per quanto riguarda l’eutanasia, proprio la Corte costituzionale si è di fatto schierata a favore della stessa in passato. In tal senso bisogna ricordare il caso di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, che scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera il 27 febbraio del 2017: con lui c’era Marco Cappato, promotore dell’attuale referendum, che si autodenunciò. Venne dunque accusato di aiuto al suicidio previsto dall’art. 580 del codice penale ed iniziò così un procedimento, che si concluse il 23 dicembre 2019 con la sua assoluzione anche grazie alla Consulta. Quest’ultima infatti in un primo momento, il 24 ottobre 2018, invitò [3] il legislatore a regolamentare la materia. Non venne fatta però alcuna legge, e così la Consulta il 25 settembre 2019 decise di dichiarare [4] l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Ovviamente però la materia necessiterebbe comunque di essere regolamentata dal Parlamento: lo stesso Amato infatti ieri ha invitato nuovamente il Parlamento ad occuparsi del tema, che in questi anni è di fatto rimasto immobile.

Anche la questione cannabis merita di non sparire dal dibattito. L’attuale normativa, infatti, comporta varie criticità, tra cui il problema del sovraffollamento delle carceri. Come documentato dall’ultima edizione del Libro Bianco [5] – un rapporto annuale che analizza gli effetti delle politiche proibizioniste in Italia – in assenza di detenuti proprio per l’art. 73 sopracitato “non vi sarebbe il sovraffollamento carcerario”. Si consideri poi che a rischiare il carcere sono anche le persone che coltivano la pianta semplicemente per curarsi da una malattia, che contribuiscono dunque al riempimento dei tribunali. Basterà ricordare il caso [6] di Cristian Filippo, un ragazzo ventiquattrenne affetto da fibromialgia, che a causa della coltivazione di due piantine di canapa è stato accusato di spaccio e rischia fino a 6 anni di carcere. Certo, in casi del genere si può anche arrivare all’assoluzione come ad esempio è successo a Walter De Benedetto, malato di artrite reumatoide processato perché coltivava cannabis e successivamente assolto [7], ma ovviamente ciò non toglie che l’attuale normativa vada ad ingolfare la macchina della giustizia oltre che a causare problemi anche a chi coltiva la pianta per curarsi. Probabilmente, quindi, è anche per questo che i cittadini sono accorsi in massa a firmare il referendum, la cui bocciatura rappresenta però solo l’ultima sconfitta in tal senso, dato che negli anni in Italia è sempre stata ignorata la volontà popolare [8] su tale tema.

[di Raffaele De Luca]