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L’Italia si mobilita per Ocalan, il leader dei curdi in isolamento da 23 anni

Sabato 12 febbraio si sono svolte diverse manifestazioni tra Milano e Roma per chiedere la liberazione di Abdullah Ocalan, in isolamento da ormai ventitré anni sull’isola di Imrali (Turchia). I partecipanti alle proteste hanno anche chiesto che il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) da lui fondato sia cancellato dalla lista delle organizzazioni terroristiche e il riconoscimento da parte del Governo italiano dell’Amministrazione democratica della Siria del nord-est, «l’unica realtà che può condurre alla democratizzazione e la convivenza di diverse etnie e religioni», ha detto Alessandro Orsetti (il padre del combattente ucciso in Siria dall’ISIS il 18 marzo 2019) al Manifesto.

Perché Abdullah Ocalan è diventato per molti un simbolo? E perché si trova in isolamento?

Oltre al partito da lui fondato (i cui obiettivi il riconoscimento dei diritti della minoranza curda presente nel Paese e la nascita di uno Stato indipendente), Ocalan è considerato il padre delle dottrine su cui si basa la rivoluzione del Rojava (o Kurdistan siriano). Nato nel 1948 a Omerli, la sua è una figura controversa: eroica per i movimenti curdi, nemica per lo Stato turco.  

Dal 1998 si trova nel carcere di Imrali, dove sconta una condanna all’ergastolo perché i suoi ideali sono reputati una minaccia per la Turchia. Nello specifico, è accusato di attività separatista armata, considerata come terrorismo da Turchia, Stati Uniti e Unione europea. Anche se nel 2018 la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato che non erano stati soddisfatti i requisiti per includere il PKK nell’elenco delle attività terroristiche, ad oggi la lista non è stata ancora aggiornata. Secondo Yilmaz orkan, responsabile di Uiki (Ufficio informazione del Kurdistan in Italia), «Quando la Turchia guarda al Rojava e vede che arabi, curdi, assiri, turkmeni costruiscono insieme un sistema democratico, capisce che lo stesso potrebbe avvenire sul proprio territorio e ne ha paura».

Quello di Ocalan è un isolamento, tra l’altro, che pare peggiorare con il tempo. La piccola isola del mar di Marmara in cui si trova il carcere, ospita esclusivamente la struttura. È un penitenziario che per molti anni è stato riservato a lui (ma che da poco ospita altri tre detenuti). Il suo avvocato ha detto che non lo incontra da dieci anni e che «ora sono diciotto mesi che non ne abbiamo notizie. L’ultimo contatto è stato a marzo 2021 quando era girata la voce che fosse morto di Coronavirus». Un comportamento da parte delle autorità turche che va contro le regole, dal momento che l legge locale garantisce ai detenuti il diritto di parlare coi propri avvocati.

Quali sono le aspettative per la vita di Ocalan? Il suo avvocato intende appellarsi al “diritto alla speranza”, riconosciuto dal Consiglio d’Europa, per cui passati diversi anni, il detenuto ha diritto a chiedere una revisione della sentenza (soprattutto per Ocalan che ormai ha più di settant’anni). Secondo i manifestanti, è ingiusto che un uomo che ha cercato una soluzione pacifica del conflitto tra i turchi e i curdi in Turchia [7] viva ancora in quelle condizioni.

«Tutto questo accade a un passo dall’Unione Europea. È come se un carcere del genere si trovasse vicino a Parigi, Roma o Berlino: inaccettabile», ha ribadito il legale.

[di Gloria Ferrari]