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Lo speck dell’Alto Adige IGP è una grande truffa?

Nell’ultimo anno in Alto Adige sono stati allevati 8.557 suini, calcolando che ogni maiale è dotato sempre e solo di due cosce e da ogni coscia si ricava una sola “baffa” di speck, come è possibile che nello stesso periodo nella medesima regione siano state prodotte 7.699.000 baffe di speck vendute con il marchio Alto Adige, di sui 2.755.541 marchiate con la preziosa denominazione di qualità Speck Alto Adige IGP? Secondo un rapporto del WWF la risposta è semplice: il 99,8% dello speck spacciato come altoatesino è in realtà prodotto con materie prime di importazione, principalmente tedesca.

«Presentato come regionale, autentico e genuino, è in realtà il prodotto di un’economia globalizzata»: è con queste parole che lo Speck dell’Alto Adige viene descritto [1] dal Wwf di Bolzano. Le pubblicità che rappresentano lo speck con le montagne dell’Alto Adige sullo sfondo costruiscono un’icona «estremamente fuorviante» creata dagli «esperti di marketing del settore alimentare con il supporto istituzionale ed economico della Provincia di Bolzano», accusata dall’associazione ambientalista di nascondere l’insostenibilità degli allevamenti intensivi e la distruzione delle foreste.

«Nulla di più distante dalla realtà», come dimostrato dai dati sui maiali altoatesini diffusi in apertura, che fanno a pugni con quelli diffusi [2] dal Consorzio Tutela speck Alto Adige scrive. Secondo il Wwf di Bolzano «solo lo 0,2% delle carni utilizzate nella produzione dello speck Alto Adige è di provenienza regionale, mentre il 99,8% della materia prima arriva dall’estero». «Gran parte delle carni destinate alla produzione dello speck altoatesino – aggiunge l’associazione – proviene dagli allevamenti intensivi e non dai masi e dalle valli alpine che vediamo nelle immagini pubblicitarie»: nello specifico, esse «giungono in Alto Adige da Germania (70%), Olanda (20%), Austria (2,5%), Italia (7%) e Belgio (0,5%)». Anche lo speck Alto Adige IGP sarebbe prodotto con maiali provenienti dall’estero secondo l’associazione, la quale spiega che tutto ciò «è stato reso legale dal disciplinare dello speck Alto Adige, che consente di esternalizzare la produzione delle carni di maiale e con essa anche gli effetti negativi dell’allevamento intensivo, ossia l’inquinamento dei terreni e delle acque a causa dei reflui zootecnici e le emissioni di ammoniaca».

Per quanto concerne infine la trasformazione del prodotto, «una volta terminato il periodo di ingrasso dagli allevamenti esteri i maiali arrivano nei macelli»: qui «vengono abbattuti, le carni lavorate ed esportate verso l’Alto Adige, dove vengono salate, affumicate e confezionate». L’etichetta del prodotto finale, poi, «non deve contenere le informazioni sull’intera filiera produttiva». Ben pochi consumatori, ricorda a tal proposito il Wwf di Bolzano, sarebbero disposti a comprare uno speck Alto Adige con tali informazioni: «meglio quindi riportare solo il marchio regionale Alto Adige Südtirol e non indicare null’altro».

Sono questi dunque i motivi per cui il Wwf di Bolzano consiglia al consumatore di «diffidare del marchio Alto Adige – Südtirol, dietro al quale si nascondono sfruttamento e danni ambientali che vanno ben oltre i confini provinciali». Oltre a ciò, il Wwf chiede poi che vengano eliminati gli allevamenti intensivi industriali e che l’Unione Europea, l’Italia e la Provincia di Bolzano non diano più sussidi alle produzioni alimentari che utilizzano carni provenienti da allevamenti intensivi e sostengano invece aziende agricole che producono con metodi biologici ed estensivi.

[di Raffaele De Luca]