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Cile, non si ferma la repressione dello Stato contro gli indigeni Mapuche

Il Parlamento cileno ha appoggiato la decisione del Presidente della Repubblica Sebastián Piñera di prorogare di ulteriori 15 giorni lo stato d’eccezione nella Macrozona Sud del Cile, che comprende le province di Biobío e Arauco, nella regione di Biobío, e Cautín e Malleco, nell’Araucanía. Si tratta di una misura adottata per la prima volta il 12 ottobre 2021 e rinnovata da allora ogni 15 giorni. Sarebbe necessaria, secondo il Governo, a causa dell’escalation di episodi violenti nel contesto dello storico “conflitto Mapuche”, il quale vede schierati su fronti opposti militanti della popolazione Mapuche e le Forze Armate e di polizia statali.

Con la proroga [1] di ulteriori 15 giorni del cosiddetto Stato d’eccezione costituzionale d’emergenza (EECE) nella Macrozona Sud del Cile voluto dal Presidente uscente Sebastián Piñera, appoggiato dal Parlamento, il Governo cileno ha confermato la volontà di proseguire con un atteggiamento repressivo e violento nei confronti del popolo Mapuche. Secondo quanto dichiarato dal ministro dell’Interno Juan Francisco Galli, la misura è motivata dal “succedersi di fatti violenti”, in seguito ai quali il Presidente della Repubblica ha deciso di “mettere tutte le competenze statali in appoggio delle forze di polizia per prevenire ed evitare la violenza e contribuire a determinare la responsabilità di chi la mette in atto”. Secondo Galli, in questa maniera gli episodi violenti si sono già ridotti del 48%.

Gabriel Boric [2], presidente neoeletto che non entrerà in carica prima dell’11 marzo prossimo, ha già manifestato più volte il proprio disaccordo con l’adozione di tale misura e ha già annunciato di non avere intenzione di rinnovarla ulteriormente quando diventerà Presidente effettivo. “Uno stato di eccezione non può diventare la normalità” ha dichiarato Boric, soprattutto perché “non si sta dimostrando utile per raggiungere la pace”. Tuttavia lo stesso Boric non ha escluso di potervi fare ricorso in futuro: “Non si deve mai scartare uno strumento fornito dallo Stato di diritto” ha affermato.

Le zone interessate dal provvedimento sono l’oggetto di uno scontro tra Stato e comunità Mapuche per la sovranità sui territori, che negli ultimi mesi è andato aggravandosi. Il popolo Mapuche rivendica infatti un diritto ancestrale sulle zone, in quanto di proprietà delle popolazioni originarie alle quali sono state sottratte illegittimamente dal dominio coloniale. Sia lo Stato cileno che quello argentino [3], al fine di favorire gli investimenti stranieri, hanno concesso a grandi imprese private estere ampie zone dei territori indigeni: l’estensione delle terre sottratte illegittimamente è stimata intorno ai 500 mila ettari [4]. Con l’instaurarsi dello stato d’eccezione in Cile, le Forze Armate potranno collaborare con le operazioni di polizia e aumentare la repressione nei confronti degli insorti.

Il conflitto Mapuche va inteso alla luce di un’esperienza storica [5] di umiliazione e usurpazione, che ora spinge a una lotta per il riconoscimento e la restaurazione della propria dignità collettiva. L’azione repressiva dello Stato, nell’esercitare il proprio diritto a punire, ne mostra tutta la cecità e l’incapacità di risolvere la problematica alla radice con l’apertura di un dialogo e l’ascolto delle rivendicazioni indigene.

[di Valeria Casolaro]