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Cara Lamorgese, no: se la polizia picchia gli studenti non è solo un “cortocircuito”

«C’è stato un cortocircuito». Nelle ultime ore stanno facendo molto discutere le parole utilizzate dalla ministra dell’interno, Luciana Lamorgese durante il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, tenutosi a Milano. La politica è intervenuta per commentare le polemiche generate dagli scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti in protesta dopo la morte di Lorenzo Parelli [1], il 18enne morto durante l’ultimo giorno di stage. Per parlare delle violenze della polizia ai danni di studenti disarmati, avvenute il 23 gennaio a Roma e il 28 a Torino e a Milano [2], Lamorgese ha detto che “Quando ci sono ragazzi che manifestano per questioni gravissime c’è da aver la massima attenzione, ma non possiamo ignorare che c’è una direttiva che impediva manifestazioni se non statiche per ragioni di salute pubblica”.

Insomma, la sua attenzione si è fondamentalmente focalizzata sulla violazione delle ordinanze anti Coronavirus, bypassando le teste rotte e i lividi sulla pelle dei giovani [3]. Come a dire che se avessero rispettato le norme non sarebbero stati picchiati e quindi, in fondo, la responsabilità è soprattutto degli studenti stessi.

Non è tutto, la ministra ha inoltre aggiunto che in piazza c’erano “provocatori”, forse un termine eccessivo se si pensa che a manifestare c’erano, alla fine dei conti, degli scolari. Gestire un gruppo di adolescenti disarmati non sarebbe dovuto risultare così problematico per la polizia, e soprattutto non avrebbe dovuto includere così tanta violenza. Quando le hanno chiesto poi un’opinione riguardo ai codici identificativi da mettere sulle divise della polizia, per individuare gli agenti violenti (come succede in molti Paesi) Lamorgese ha detto che «Ci sono già in essere telecamere sui caschi di poliziotti e carabinieri. Non mi sposterei in questo momento sui codici».

Probabilmente la ministra è una delle poche a non essersi accorta dell’urgenza del provvedimento. Se n’era cominciato a parlare già dopo il G8 di Genova del 2001 e ora Amnesty International ha riportato in auge il tema. L’associazione ha consegnato qualche giorno fa una petizione con 150 mila firme sul tema, sottolineando che i codici in questione consentirebbero solo alle Procure di identificare i colpevoli (in pratica, per chi opera correttamente non ci sarebbe niente da temere). Nel 2017 Franco Gabrielli, all’epoca a capo della polizia diceva che quella doveva essere «una Polizia che non ha e non deve avere paura degli identificativi nei servizi di ordine pubblico, di una legge, buona o meno che sia, sulla tortura, dello scrutinio legittimo dell’opinione pubblica o di quello della magistratura».

Per la Lamorgese la soluzione però è un’altra: «Abbiamo un organico che andrà ad aumentare nell’arco di pochi mesi fino a 255 uomini. 198 saranno della Polizia, 150 alla questura di Milano. Gli altri sono appartenenti ai carabinieri ed alla Guardia di Finanza». Un paradosso, insomma: per ridurre e controllare le violenze della polizia, basta aumentare il numero dei poliziotti.

[di Gloria Ferrari]