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La stagione di caccia è finita e i numeri parlano ancora di un problema

I cacciatori in Italia sono in forte diminuzione, i controlli sono in aumento, ma la caccia rappresenta ancora un problema notevole per l’Italia. La stagione venatoria si è conclusa il 31 gennaio ed è tempo di bilanci, e questi riportano ancora alla questione irrisolta del bracconaggio illegale. Una pratica che si può definire barbarica, pericolosa per l’ambiente e gli abitanti delle zone interessate, nonché estremamente crudele verso gli animali. Secondo i dati raccolti da Birdlife International [1] l’Italia è al secondo posto per il bracconaggio illegale nel bacino del Mediterraneo, con quasi sei milioni di esseri viventi (principalmente volatili) uccisi illegalmente ogni anno. Peggio fa solamente l’Egitto.

Nonostante un controllo sempre più attento grazie alla vigilanza venatoria messa in atto da Carabinieri forestali, Polizie e guardie volontarie di diverse associazioni, i tristi spettacoli di vere e proprie stragi di animali non sembrano diminuire, anzi. Come denuncia il WWF [2], anche poco prima della chiusura ufficiale la stagione della caccia non è andata diminuendo, tutto il contrario. Negli ultimi periodi sono state smascherate [3] molte uccisioni illegali di fauna selvatica e tra tutte è da rimarcarne una: sei cacciatori di frodo hanno abbattuto ben 350 animali (tra i quali 150 Mareca Penelope) nella laguna di Grado. Un altro esempio eclatante di quanto con la stagione di caccia aumentino in maniera esponenziale anche i danni recati a svariate specie protette. Anche dall’Europa arrivano da tempo sollecitazioni per l’Italia purché essa adotti misure concrete per contrastare le fin troppe attività venatorie illegali. L’Unione Europea ha suggerito all’Italia di rendere più severa la legislazione vigente, con un aumento delle sanzioni così da impedire il diffondersi dei crimini contro la fauna selvatica. Un’altra spinta direttamente dall’Europa è quella di raccogliere i dati relativi alla caccia in maniera più precisa ed efficiente, facendo crescere il numero di quelle che, ad ora, sono fin troppe poche unità vigilanti. Anche i cittadini si sono recentemente mossi [4] per combattere contro la caccia, chiedendo diventi del tutto vietata nel territorio italiano.

Ma a quanto pare, l’ultimo vero importante passo avanti dell’Italia è stato fatto trenta anni fa, con la Legge sulla tutela della fauna selvatica e la disciplina della caccia (L. 157/1992) [5], di grande impatto positivo (ma non sufficiente, come precisa anche il Comitato Referendum Sì Aboliamo la Caccia [6]). L’approvazione della Legge è stata indubbiamente cosa buona, con svariate battaglie vinte e la possibilità di tutelare al meglio la fauna selvatica e denunciare chi la mette a rischio. Purtroppo però da lì l’Italia non ha più preso provvedimenti significativi e le regioni italiane non fanno [7] abbastanza o, se fanno, fanno a metà. Dai Tribunali Amministrativi Regionali arriva la conferma di come circa il 90 per cento dei ricorsi siano stati vinti, mostrando il preoccupante e ingiusto potere che esercitano le pressioni venatorie. Comportamenti illegali in cui si pensa all’interesse di pochi individui mentre il denaro pubblico viene inutilmente sperperato. A soffrire di tali noncuranze non solo gli animali ma anche le persone che ogni anno muoiono o vengono ferite a causa di un’attività ludica spesso fin troppo pericolosa anche per chi la pratica. Gli “incidenti” di caccia non sono incidenti inevitabili e la biodiversità è seriamente minacciata da una pratica troppo piena di rischi per l’ambiente e le specie, tanto che è chiaro anche alla Commissione Europea, la quale ha deciso di finanziare il progetto Life SWiPE [8]. Ad aderire e divenire partner del progetto i WWF di tredici Paesi europei, tra cui anche il WWF Italia, con l’obiettivo primario di ridurre i crimini contro la fauna selvatica.

[di Francesca Naima]