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Cos’è realmente l’alternanza scuola-lavoro (e perché gli studenti vogliono abolirla)

In questi giorni i media sono stati rapiti dalle discussioni, a tratti accese, circa l’elezione del “nuovo” Presidente della repubblica, facendo passare così molte notizie sottotraccia nonostante, alcune di esse, avrebbero meritato certamente di essere portate all’attenzione dell’opinione pubblica. Nello specifico, a passare inosservate sono state quelle notizie che hanno visto i giovani, i più giovani, come protagonisti, disposti a scendere in piazza per confrontarsi, anche aspramente, con le forze dell’ordine.

La morte di Lorenzo Perelli, un ragazzo di soli 18 anni coinvolto in un progetto di alternanza scuola lavoro, ha letteralmente sconvolto la comunità studentesca del paese: le studentesse e gli studenti sono scesi in piazza e hanno chiesto l’abolizione di tale istituto. Non si tratta di un’agitazione da prendere sotto gamba (ammesso che alcune possano esserlo) perché i ragazzi hanno pagato anche fisicamente la propria protesta: la rete è stata letteralmente invasa da immagini di volti ammaccati, talvolta sanguinanti, usciti malconci dagli scontri con la polizia. Purtroppo i telegiornali ne hanno parlato poco o non ne hanno parlato affatto.

L’accaduto è utile per operare una riflessione sull’alternanza scuola lavoro. Anzitutto può risultare interessante richiamare le fonti che la regolano, con particolare riferimento al periodo della loro emanazione.

Introduzione e riforme

Essa è stata introdotta nel 2003, con la legge n. 53 (sarà disciplinata mediante un decreto legislativo, il n. 77 del 2005). Al governo c’era Berlusconi e il ministro dell’Istruzione era Letizia Moratti. Si vivevano momenti molto significativi: era l’anno della legge Biagi, la n. 30 del 2003, e il mercato del lavoro veniva votato a quella che si definiva “flessibilità”, alcuni la chiamavano flexicurity (flessibilità più sicurezza sociale). Erano anni di tensione e di piazza: il 23 marzo del 2002, il segretario della CGIL, Sergio Cofferati, aveva portato al Circo Massimo circa tre milioni di persone per fermare il governo che intendeva mettere le mani sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che regolava le sanzioni in caso di licenziamento illegittimo e riconosceva ampie tutele ai lavoratori: il sindacato vinse quella battaglia, forse l’ultima grande vittoria che si ricordi.

Nel 2010, al governo c’era di nuovo Berlusconi e al ministero competente Mariastella Gelmini, si operò un riordino della materia e, per la prima volta, l’alternanza scuola lavoro assunse la dimensione di metodo sistematico da introdurre nei piani di studio.

La vera rivoluzione, il consolidamento dell’istituto che assume dimensione obbligatoria, avvenne nel 2015, con la legge n. 107 del 13 luglio (c.d. Buona Scuola). Al governo c’era Matteo Renzi e al ministero sedeva Stefania Giannini. Anche quello fu un periodo intenso: era l’anno del Jobs Act, un’imponente riforma in materia di lavoro che nutriva l’ambizione (quella dichiarata) di rilanciare l’economia, l’occupazione, anche mediante l’attrazione di importanti capitali esteri. Si consideri che la riforma era in perfetta continuità con quanto avviato dal governo Monti, che nel 2012 aveva modificato profondamente l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, depotenziando radicalmente le tutele contro il licenziamento illegittimo.

Nel 2019, infine, con la legge di bilancio, essa ha assunto la denominazione più generica di Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO).

È importante contestualizzare i vari interventi

È assai interessante incasellare le riforme in materia di alternanza scuola lavoro (come si potrebbe peraltro fare con altri istituti, lo stage per esempio o alcuni apprendistati) nell’ambito di specifici periodi nei quali si operavano rilevanti mutamenti anche in materia di mercato del lavoro e di diritti del lavoro in generale. Qualcuno, formalmente in maniera assolutamente corretta, potrebbe obiettare che le due sfere in realtà siano distinte: l’alternanza scuola lavoro formalmente attiene al mondo della formazione, così come i tirocini, e dunque non dovrebbe essere letta in controluce con le vicende del mondo del lavoro.

Ma così non è, purtroppo, per almeno due ragioni.

La prima riguarda la narrazione stessa che i sostenitori dell’alternanza scuola lavoro hanno quasi ossessivamente ripetuto all’opinione pubblica: lo strumento fungerebbe da raccordo tra formazione e mondo del lavoro, tra conoscenza e produzione, al fine di consentire un più facile inserimento delle persone nel mondo del lavoro, al termine del percorso di studi. Forse il ragionamento muove i suoi passi da una sorta di diffidenza nutrita nei confronti del mondo della scuola e della formazione in generale: è come se si volesse intendere, in filigrana ma nemmeno troppo, che l’istruzione italiana sia troppo teorica, scostata dalla realtà e dalla necessaria praticità; e che dunque, gli studenti alla fine del loro percorso conoscano delle cose, ma di fatto sappiano fare assai poco. A questo si aggiunga poi l’idea secondo cui il sapere debba essere prioritariamente orientato al mondo della produzione, al mercato, all’impiego negli ingranaggi del sistema capitalistico affermatosi: insomma, sapere per sapere non servirebbe a nulla se non è utile alla creazione di prodotto, di valore aggiunto quantificabile, misurabile in termini di profitto.

Ad ogni modo, al netto di come la si voglia vedere, l’istituto è di natura meramente formativa, tale dovrebbe essere: lo studente dovrebbe restare studente e il percorso (esattamente come dovrebbe accadere per lo stage) dovrebbe essere di natura squisitamente scolastica. Sulla carta, la persona non può in tale ambito essere considerata una lavoratrice o un lavoratore: tanto è vero che a questi ragazzi non è riconosciuta alcuna retribuzione. Quello alla retribuzione, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione, costituisce un diritto inalienabile, irrinunciabile, che deve peraltro rispondere a specifici criteri espressamente individuati: deve essere sufficiente a garantire alla persona una vita libera e dignitosa.

L’effettività delle regole in materia di lavoro

La seconda motivazione per la quale l’alternanza scuola lavoro è da leggersi in relazione al funzionamento del mondo del lavoro appare di gran lunga più rilevante e preoccupante della prima.

Prioritaria è la consapevolezza (di chi si occupa di diritto del lavoro) di un aspetto prima di qualsiasi altro: ciò che conta realmente, più della stessa previsione formale delle norme (rispetto alla quale è sempre comunque bene continuare a riflettere e agire alla ricerca delle migliori soluzioni), è la loro esigibilità, materialità, effettività.

Vengono alla mente le parole di Luigi Mariucci, quelle pronunciate nel discorso tenuto il 4 giugno 2010, in occasione dell’Assemblea dei quadri e delegati CGIL di Venezia, intitolata Costituzione e Statuto dei lavoratori: senza diritti non c’è libertà [3]: «Io domando sempre ai miei studenti perché mai nel 1970, ventidue anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, che aveva già perfettamente dichiarato la serie dei diritti civili, politici, di libertà, ecc., c’è bisogno di fare una legge in cui c’è scritto che i lavoratori nelle aziende, nelle fabbriche possono esprimere liberamente la loro opinione. Perché c’è bisogno di fare una legge in cui c’è scritto che le guardie giurate non possono svolgere funzioni di controllo dei lavoratori? Perché c’è bisogno di scrivere una legge in cui si stabilisce che le visite personali di controllo, cioè le perquisizioni personali all’uscita dall’azienda sono vietate, tranne che siano regolate in un certo modo? Evidentemente perché quelle cose accadevano! Non basta dichiarare l’esistenza dei diritti individuali: la solitudine dei diritti individuali non porta molto in là; la storia è piena di dichiarazioni solenni sull’esistenza di diritti, nei fatti puntualmente violati. Quello che conta, e specialmente quando parliamo di diritti del lavoro, è mettere in moto meccanismi di effettività dei diritti, che alzino la soglia della effettiva realizzazione dei diritti. Questo è il punto, la forza dello Statuto».

Tra il dire e il fare…

Il punto è proprio questo ed è tanto impossibile dissimularlo quanto non vederlo: esiste una divaricazione impressionante tra quanto le norme formalmente prescrivono e quanto piuttosto avviene nella realtà. Gli esempi a conferma di ciò sarebbero davvero infiniti, solo alcuni: a fronte di una normativa piuttosto protettiva in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nel 2021 ci sono stati circa mille morti sul lavoro; a fronte di una normativa che tutela il diritto alla retribuzione, e anche in questo caso parliamo di norme costituzionali, è diffusissimo il lavoro gratuito, il lavoro sottopagato, il lavoro in nero senza riconoscimento di contribuzione previdenziale e non solo; a fronte di una normativa che voterebbe lo smart working a criteri di assoluta libertà e di massima conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, registriamo l’esistenza di radicali criticità lamentate dalle lavoratrici e dai lavoratori coinvolti. [4]

Sono solo alcuni esempi, ma se ne potrebbero davvero fare tantissimi. Si pensi pure al mancato riconoscimento di molte permissività previste per legge (ferie, congedi legati alla genitorialità, alla malattia, all’infortunio) e questo solo per quanto attiene al lavoro dipendente. Se aprissimo il capitolo del lavoro autonomo non ne usciremmo più, a cominciare dal disagio e dall’ingiustizia patiti nello sterminato e variegatissimo mondo delle c.d. partite IVA, ma soprattutto in quello delle “finte” partite IVA.

A fronte di una divaricazione vertiginosa tra prescrizioni formali e realtà, tra legge e pratica, occorre leggere l’alternanza scuola lavoro in combinazione con le dinamiche del mondo lavorativo: istituti puramente formativi, introdotti e poi implementati in concomitanza con la flessibilizzazione delle regole in materia di lavoro, hanno finito con l’assumere de facto la natura di veri e propri contratti di lavoro impropri. Impropri perché, ovviamente, non essendolo formalmente non prevedono tutta una serie di diritti specifici del diritto del lavoro: la retribuzione prima di tutto, ça va sans dire. Senza considerare un elemento che è tutt’altro che un particolare: l’alternanza scuola lavoro è obbligatoria per studenti a partire dal terzo anno di scuola superiore, poco più che bambini, persone dai 16 anni in su. Si tenga ben presente che la normativa non esclude che i ragazzi possano trovarsi a stretto contatto con attività definite ad «alto rischio», possibilità che anzi viene esplicitamente prevista dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che nelle linee guida [5] si limita a precisare che in caso di attività classificate ad alto rischio ci debbano essere più tutor di supporto. 

[6]

Gli studenti si trovano spesso a contatto con attività ad alto rischio
Fonte: https://www.istruzione.it/alternanza/cos-e-carta-dei-diritti.html

Esiste una soluzione?

Che ci sia chi, anche nel mondo dell’impresa, si adoperi virtuosamente per valorizzare l’alternanza scuola lavoro non ci piove, ci mancherebbe altro, tuttavia appare assolutamente plausibile che qualcuno, meno nobile di altri, possa pensare di attingere mediante questo strumento da una sorta di bacino di lavoro illegale, di lavoro senza diritti, come avviene ampiamente e notoriamente attraverso lo stage.

E a questo punto, concludendo, ci sarebbe da interrogarsi circa un possibile rimedio (o più di uno): cosa fare a fronte di una realtà perniciosa quale quella descritta?

La questione si pone evidentemente nell’ambito di una riflessione decisamente più ampia relativa alla condizione delle persone sui luoghi di lavoro. La protezione delle lavoratrici e dei lavoratori non può che declinarsi attraverso strumenti di tutela (legali, “esterni”) e di autotutela (mediante dinamiche di partecipazione politica e sindacale da parte degli individui stessi). Ad oggi, e non è possibile approfondire in questa sede questi ulteriori profili, tali strumenti appaiono decisamente spuntati e inefficaci.

Dunque, quantomeno in questa fase, non appaiono poi tanto peregrine le richieste di abolizione dell’alternanza scuola lavoro avanzate dagli studenti nelle piazze del paese.

[di Savino Balzano]