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Recensioni indipendenti: La Carovana Bianca (documentario)

È notte, in sottofondo si sentono suoni indefiniti come di prove strumenti. Un fascio di luce, come un occhio di bue sul palcoscenico, si muove illuminando alcuni dettagli all’esterno di un accampamento, roulotte, piccole finestre appena illuminate e recinti con animali assonnati, come a cercare qualcosa o qualcuno che entri in scena. D’un tratto, sfavillante si accende un’insegna rossa, luminosissima, GRAN CIRCUS per spengersi al colpo di un crash di batteria, poi buio. Inizia cosi “La Carovana Bianca”, presentato al  62° Festival Dei Popoli [1] di Firenze e al recente festival del cinema neorealistico Laceno d’oro [2] di Avellino. Questo documentario di 68 minuti, autoprodotto, diretto e montato da Artemide Alfieri e Angelo Cretella, ci introduce quasi in punta di piedi in un piccolo gruppo di famiglie circensi, storicamente e culturalmente nomadi, accampati in uno spiazzo sterrato della periferia napoletana e costrette a chiudere il sipario e fermarsi lo stesso giorno dell’inizio degli spettacoli e dove, nell’abbandono delle istituzioni e nell’assoluta incertezza, vivono e sopravvivono al primo lockdown della storia dell’uomo moderno.

Girato con estrema semplicità e attrezzature ridotte volutamente al minimo, i due registi condividono, durante i sessanta giorni di riprese, quella realtà e riescono a restituircela nuda e cruda così come la vediamo. Lo spazio delimitato in cui coabitano le famiglie, si presta particolarmente bene a spiegare una dimensione in cui il tempo pare essersi fermato, rendendoci partecipi di un microcosmo sconosciuto, dove un’ arte e uno stile di vita, tanto radicati nel tempo, si scontrano con una nuova inattesa condizione. Le macchina da presa con un stile neorealista strettamente legato all’attualità, segue ogni una di queste famiglie nel loro privato mostrando gli interni delle roulotte, le azioni e i piccoli gesti di una quotidianità reinventata.

A turno ogni uno accudisce gli animali, i più piccoli seguono le lezioni scolastiche da casa e ogni tanto provano, un po’ impacciati, semplici esercizi circensi. Gli uomini si occupano della manutenzione ordinaria delle varie strutture del circo, le donne come a non voler pensare si organizzano e fanno cose che in una situazione normale non avrebbero mai fatto così accuratamente come organizzare le comunioni dei bambini o festeggiare il Natale, ma con una vena di malinconia che si mescola alla speranza che sia tutto un sogno e che tutto ritorni il più velocemente possibile alla normalità. Altri e soprattutto i più giovani, con il trascorrere del tempo relegati in questo limbo, pensano che sia tutto finito e iniziano a chiedersi se vale la pena continuare quella vita e che forse sarebbe meglio avere una vita normale, studiare, trovare un’attività diversa, lavorare magari in un bar anche se questo potrebbe mettere a repentaglio l’unione familiare e una continuità che dura da generazioni. L’emergenza sanitaria ha prodotto una reazione a catena così sistematica e così grave da incidere pesantemente sulla vita di tutti ma principalmente su settori precari e già fragili che rischiano fortemente di scomparire per sempre.

“La Carovana Bianca” è un film che mostra un contesto, quello circense, del tutto privato di quell’aspetto festoso e colorato che è nell’immaginario collettivo ma con un finale che suggerisce l’accendersi di una speranza: la nascita di una nuova vita ne è la simbolica rappresentazione. E come dice uno dei protagonisti «Che lo spettacolo viaggiante riprenda al più presto con grande successo di pubblico». Pur comprendendo le opinioni contrastanti che qualcuno può avere sul circo e il suo mondo, questo film più che come un semplice documentario va visto come una vera e propria testimonianza di come un piccolo universo con un’antica tradizione ha vissuto un determinato momento, quello della pandemia, che ormai fa parte della storia dell’uomo.

[di Federico Mels Colloredo]