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La fotosintesi artificiale per la produzione di idrogeno non è più un miraggio

Grazie a un innovativo composto chimico, gli ingegneri dell’EPFL [1] hanno sviluppato un nuovo approccio [2] alla fotosintesi: un obiettivo che da anni è portato avanti da tantissimi scienziati. Essere in grado di replicare ed, eventualmente, “perfezionare” ciò che le piante fanno per nutrirsi e vivere, ovvero sfruttare i raggi del sole per produrre energia e quindi elementi chimici indispensabili come l’idrogeno, costituirebbe un decisivo passo per la ricerca scientifica e potenzialmente per la produzione di energia. Nel tempo ci sono stati diversi studi e diverse invenzioni a tale scopo, ma nessuno dei dispositivi creati aveva mai soddisfatto gli obiettivi posti.

Con il termine fotosintesi artificiale, generalmente si intende un sistema in grado di catturare l’energia della luce solare e immagazzinarla nei legami chimici di un combustibile che viene detto appunto combustibile solare, sotto forma di gas idrogeno o idrocarburi liquidi. Il dispositivo più comune per la riproduzione di tale processo è costituito da un colorante chiamato antenna in grado di assorbire la luce, un semiconduttore che separa le cariche elettriche, e un elettrocatalizzatore per guidare la reazione di riduzione-ossidazione dell’acqua. Il tutto però è un processo molto lento, a causa della difficoltà nel trovare per gli elettrodi, materiale con un’elevata stabilità chimica, un’elevata efficienza catalitica, e adeguate proprietà optoelettroniche.

L’EPFL è riuscito a scovare un nuovo approccio che permette di aggirare alcuni ostacoli. Questo consiste nel foto-ossidare l’acqua con il tetratiafulvalene (TTF), una semplice molecola organica. Gli esperti hanno dimostrato che, una sua versione salina, può auto-assemblarsi in microbarre capaci di fungere da antenne per la cattura della luce visibile, e in pompe di elettroni per ossidare l’acqua in ossigeno. Generalmente si tratta di una reazione lenta, ma l’impilaggio delle molecole di sale TTF può rendere il processo più veloce, “catturando” i quattro elettroni necessari alla generazione di idrogeno. Essendo il tetratiafulvalene composto solo da carbonio, zolfo e idrogeno, è garante di una maggiore economia e sostenibilità, pertanto tale sviluppo nella riproduzione della fotosintesi artificiale apre nuove strade nella scissione dell’acqua tramite la luce visibile, senza l’impiego di atomi di metallo.

[di Eugenia Greco]