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Il greenwashing dietro la cattura del carbonio emerge da un primo rapporto

Un impianto per la produzione di idrogeno blu firmato Shell, con annesso sistema di cattura del carbonio, è finito nel mirino dell’Ong Global Witness. La multinazionale petrolifera, al riguardo, decantava una rimozione di gas serra attorno al 90%. Invece – secondo le stime [1] dell’organizzazione – non si è andati oltre il 48% di emissioni catturate. L’impianto in questione è uno dei pochi al mondo per la produzione di idrogeno fossile che, come previsto, sfrutta un sistema di cattura del carbonio. Il progetto si chiama Quest ed è stato presentato come un baluardo della transizione ecologica. Ma se le valutazioni di Global Witness venissero confermate, questo avrebbe la stessa impronta di carbonio di 1.2 milioni di auto a benzina.

L’impianto della Shell, situato ad Alberta, in Canada, produce idrogeno mediante lo Steam Methane Reforming (SMR). Il processo, il più comune allo scopo, consiste nello scaldare il gas naturale con del vapore fino ad ottenere una miscela di monossido di carbonio e idrogeno. L’intero procedimento genera anche gas ad effetto serra che dovrebbero essere però rimossi dal Sistema di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Secondo i dati della Shell, questo avrebbe risparmiato all’atmosfera l’80% delle emissioni generate dallo SMR. Tuttavia – come spiega l’organizzazione – il processo in questione rappresenta solo il 60% delle emissioni complessivamente generate dall’intero impianto. Un altro 40%, infatti, proviene dal cosiddetto ‘vapore di scarto’ – flue gas – che non viene per nulla rimosso dal CCS. «La promozione dell’idrogeno fossile da parte delle compagnie petrolifere – ha dichiarato Dominic Eagleton, responsabile senior della campagna sul gas di Global Witness – è una foglia di fico che permette loro di portare avanti l’estrazione e la combustione dei combustibili fossili. Il modo migliore per aziende come la Shell di aiutare ad affrontare la crisi climatica è quello di eliminare gradualmente tutte le operazioni legate a gas e petrolio, piuttosto che trovare modi per nascondere la loro attività dannosa per il clima dietro false soluzioni». Giusto per rendere l’idea: mentre la Shell afferma di aver catturato 5 milioni di tonnellate di gas ad effetto serra nel suo impianto canadese in meno di cinque anni, ne ha emesse, nello stesso periodo, altre 7.5 milioni qua e là.

Il rapporto, sebbene non abbia la stessa validità di una ricerca scientifica sottoposta a revisione paritaria, conferma i timori iniziali. Infatti, sono già numerosi gli studi che demoliscono le potenzialità sostenibili del cosiddetto idrogeno blu. Ad esempio – secondo uno dei più recenti [2]– l’impatto di quest’ultimo, in termini di gas climalteranti, sarebbe del 20% maggiore di quello derivante dalla combustione di gas naturale o perfino del carbone. Ad ogni modo, anche i calcoli di Global Witness – basati sui dati pubblicati dalla stessa Shell e dal Pembina Institute, tra i principali gruppi di esperti canadesi sull’energia – potrebbero stimolare ulteriori studi in questo senso. Si spera – come auspica da tempo la comunità scientifica – che la farsa dell’idrogeno fossile [3] finisca presto.

[di Simone Valeri]