giovedì 28 Marzo 2024

Com’è cambiata la disponibilità di terapie intensive in due anni di pandemia?

Più volte abbiamo trattato le lacune del sistema sanitario nazionale in questi due anni di emergenza. Un’assistenza tramortita da anni di tagli alla spesa non invertita nemmeno nell’ultimo biennio, le mancanze dell’assistenza territoriale, l’assenza di un piano pandemico aggiornato come sarebbe stato d’obbligo. Solo per fare pochi esempi. Ora vediamo invece come si è mosso il Paese in merito ai posti di terapia intensiva disponibili, la cui scarsità aveva comportato molti problemi (e probabilmente contribuito ad aumentare il numero di morti) nelle prime fasi dell’emergenza. Si scopre così che in questo ambito l’Italia se l’è complessivamente cavata, seppur vi siano notevoli disparità tra le regioni ed in alcune di esse i posti letto a disposizione non raggiungano lo standard minimo imposto dalla normativa di riferimento.

A tal proposito, bisogna citare il decreto-legge 19 maggio 2020 n.34, con cui in seguito allo scoppio della pandemia sono state imposte misure urgenti in vari ambiti, tra cui quello della salute. Nello specifico, il comma 1 dell’articolo 2 del decreto ha reso «strutturale sul territorio nazionale la dotazione di almeno 3.500 posti letto di terapia intensiva», determinando così una dotazione pari a 14 posti letto ogni 100.000 abitanti per ciascuna Regione e Provincia autonoma. Il decreto prevede in tal senso che queste ultime debbano garantire «l’incremento di attività in regime di ricovero in Terapia Intensiva e in aree di assistenza ad alta intensità di cure» tramite «apposito piano di riorganizzazione volto a fronteggiare adeguatamente le emergenze pandemiche, come quella da Covid-19 in corso». Inoltre, al comma 2 del medesimo articolo, stabilisce che Regioni e Province autonome debbano programmare altresì una «riqualificazione di 4.225 posti letto di area semi-intensiva».

Tali piani di riorganizzazione sono stati successivamente adottati da Regioni e Province autonome in virtù precisamente del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il documento predisposto dal governo italiano riguardante gli investimenti da fare con i fondi del Next generation Eu (il programma europeo volto a sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia). Esso infatti prevede nell’ambito della «componente 2» della «Missione 6» (relativa al settore Salute, al quale verranno destinati 15,63 miliardi) la linea di investimento intitolata «Ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero», che si compone di tre linee di intervento tra cui appunto il potenziamento e la dotazione di posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva di cui al suindicato art. 2 del decreto 34/2020.

Dunque, tornando ai piani di riorganizzazione, a ottobre 2021 un report del governo ha raccolto i numeri e gli obiettivi delle singole amministrazioni, riportando il numero di posti letto di terapia intensiva e semintensiva che rispetto a quello della fase pre-emergenziale Regioni e Province Autonome devono possedere in attuazione dei piani. Lo sforzo più imponente riguarda certamente la Lombardia, con il piano che prevede 585 posti letto aggiuntivi da attivare in terapia intensiva e 704 da riconvertire in semi-intensiva. Tuttavia anche per altre regioni sono previsti sforzi notevoli, come ad esempio la Campania, con 499 posti letto da attivare in terapia intensiva e 406 in semi-intensiva da riconvertire e la Sicilia, con 301 posti letto da attivare in terapia intensiva e 350 in semi-intensiva da riconvertire.

Detto ciò, andando a verificare se l’incremento dei posti letto nelle terapie intensive sia stato effettivamente attuato, si nota che in gran parte del Paese essi sono aumentati notevolmente. Secondo i dati riportati da Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), infatti, innanzitutto in termini assoluti i posti letto attivati in Italia sono attualmente 9616, un numero di gran lunga maggiore rispetto ai 5179 presenti nel periodo pre-emergenziale. Sempre in termini assoluti, inoltre, la regione con più posti letto attivati è la Lombardia (1810), seguita dal Veneto (1000) e dal Lazio (943).

Tuttavia, relativamente al numero di posti letto in terapia intensiva per 100.000 abitanti, la classifica vede al primo posto la Valle d’Aosta, con 26,6 posti letto per 100.000 abitanti, seguita dal Veneto con 20,5 posti letto e dall’Emilia Romagna con 20. Vi sono poi tutte le altre regioni, la maggior parte della quali supera l’obiettivo di 14 posti letto ogni 100.000 abitanti imposto dal decreto sopracitato. Sono solo 6 infatti quelle che si pongono al di sotto di tale soglia, ossia Campania (13,9), Molise (13,3), Sardegna (12,8), Puglia (12,7), Calabria (10,3) ed Umbria (10). Al netto di ciò, bisogna riconoscere che in generale un incremento dei posti letto ci sia effettivamente stato da quando è iniziata l’emergenza, dato che prima della stessa le regioni erano tutte al di sotto dei 14 posti letto ogni 100.000 abitanti: basterà ricordare cha quella con il numero di posti letto attivi maggiore era il Molise, con soli 10,2 posti per 100.000 abitanti.

Detto questo, la disparità presente tra le regioni di certo non sorprende trattandosi di un problema vecchio: basterà ricordare che già nel 2015 un rapporto dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) parlava delle «persistenti disparità regionali nella qualità dell’assistenza sanitaria tra le regioni italiane» ed invitava l’Italia ad assicurare un’applicazione più omogenea a livello regionale delle iniziative nazionali per la qualità ed i requisiti minimi.

Non solo, perché il rapporto ricordava anche che sarebbe stato necessario porre maggiore attenzione alla futura qualità della sanità a livello nazionale. Un suggerimento evidentemente non ascoltato, dato che gli ultimi 10 anni sono stati caratterizzati da tagli e privatizzazioni nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che non è riuscito a fornire una risposta adeguata al sorgere dell’emergenza sanitaria. È in tale contesto quindi che va collocato l’attuale incremento dei posti letto, con il numero degli ospedali che in 10 anni è sceso di ben 173 unità ed il personale che si è ridotto del 6,5%.

[di Raffaele De Luca]

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