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Il governo Draghi resuscita il ponte sullo stretto, di nuovo

Riecco il ponte sullo stretto. Anche il governo Draghi è tornato a parlare del progetto, che definire annoso è un eufemismo. Recentemente il ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile Enrico Giovannini ha reso al Consiglio dei ministri un’informativa per avviare uno studio di fattibilità sulla realizzazione del ponte sullo stretto. L’acquisizione del documento sarà gestita da Rete Ferroviaria Italiana Spa, tramite procedura di evidenza pubblica. Come si legge in un’agenzia, “Lo studio dovrà prendere in esame la soluzione progettuale del ponte aereo a più campate, in relazione ai molteplici profili evidenziati nella relazione presentata il 30 aprile 2021 dall’apposito gruppo di lavoro istituito nel 2020 presso il Mims, valutandone la intrinseca sostenibilità sotto tutti i profili indicati, mettendola a confronto con quella del ponte ‘a campata unica’ e con la cosiddetta opzione zero. Inoltre, lo studio deve fornire gli elementi, di natura tecnica e conoscitiva, occorrenti per valutare la realizzabilità del sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina, anche sotto il profilo economico-finanziario”. Il governo ha fatto sapere che si sta già impegnando nel miglioramento delle interconnessioni ferroviarie nei territori calabresi e siciliani e al potenziamento dell’attraversamento navale dello stretto, con lo stanziamento di 510 milioni derivanti dai fondi del Pnrr “favorendo – qui non si teme la retorica – la transizione ecologica della mobilità marittima e la riduzione dell’inquinamento”.

Le tappe del nulla di fatto

Una storia infinita quella del ponte, mai realizzato ma già costato molti soldi ai contribuenti, tra studi, progetti e primi incarichi poi sfumati. L’idea di collegare la Calabria e la Sicilia parte da lontanissimo. Le prime testimonianze risalgono alla Roma avanti Cristo. Poi se ne discuterà nell’Italia post-unificazione, passando per il dopo guerra e arrivando ai giorni nostri. L’accelerazione nel 1981, quando il governo Forlani fonda la Società “Stretto di Messina Spa”. I lavori non partono ma la Società resta in piedi e si continua a produrre documentazione. Tra le principali questioni quello delle campate. Un ponte marittimo a campata unica sarebbe il più lungo del mondo – esteso per 3,3 Km e supererebbe quello giapponese. Altri pensano a realizzare tre campate, ma il fondale è troppo profondo per pensare a una soluzione del genere. Con Craxi al potere si annuncia che il ponte sarebbe stato pronto nel ’94. Fu lettera morta.

Passano gli anni e il sogno del ponte viene riscoperto da Silvio Berlusconi. Nel 2002 l’annuncio: “Il ponte si farà”. Ne è sicuro anche l’allora ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi. Si decide che nel 2003 sarebbero iniziati i primi espropri sulle due sponde e nel 2005 “la prima pietra”. Proprio in quell’anno infatti viene assegnata la gara d’appalto, vinta dalla cordata di imprese Eurolink, capitanata dalla Impreglio, per un costo pari a 6 miliardi. In quell’anno però, la Direzione investigativa antimafia segnala possibili infiltrazioni e l’iter rallenta. Quando il nuovo governo di Romano Prodi si insedia, il ponte non è negli obiettivi. Arriviamo al 2011 e il progetto riparte su impulso di Mattioli, ma poi Mario Monti lo blocca. Nel 2013 la Società Stretto di Messina viene posta il liquidazione. Si stima che dal 1982 ad oggi ci sia costata oltre 300 milioni. Ma il peso del contenzioso che lo Stato potrebbe trovarsi a sostenere ora è anche superiore. Furono chiesti come risarcimento 700 milioni.

Entusiasmo nuovo, problemi vecchi

L’Odissea delle opere pubbliche italiane è un luogo comune che conosciamo bene. Il governo Draghi rischierebbe di esserne anch’esso un attore. Ma la rinnovata attenzione ai grandi interventi, ispirata dal Pnrr, non può che rianimare il sogno del grande ponte. Difficile però la realizzazione. Pietro Lunardi è tornato a parlare, spiegando che il ponte è assolutamente un’opera fondamentale ma che non è pensabile fare più campate, vista la profondità del fondale. I problemi risiedono anche nella forte concentrazione ventosa e nei rischi di ordine sismico, con oscillazioni nella norma di cui già bisogna tenere conto. Per non dire ovviamente dell’impatto ambientale (non ha nascosto perplessità [1] anche il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani). Molte le criticità che più volte ha evidenziato anche Legambiente [1].

La vera alternativa, quindi, potrebbe essere un piano di investimenti per rendere più efficiente l’attraversamento navale e il potenziamento dei collegamenti ferroviari in entrambe le sponde. Soluzioni più pratiche che i tanti cittadini chiedono da tempo. Vedremo se, almeno su questi punti, i soldi del Pnrr saranno efficaci.

[di Giampiero Cinelli]