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La Cina vuole “robotizzare” gli operai

La Cina lo aveva promesso, sarebbe divenuta un’avanguardia della robotica entro il 2025. A tre anni dalla dead-line segnalata iniziamo finalmente a vedere nei fatti cosa il gigante orientale intendesse dire e quale sia la sua visione del futuro. Se in Occidente l’idea è quella di automatizzare i robot in modo che possano gestirsi autonomamente e sostituire la bassa manovalanza, i ricercatori cinesi starebbero vagliando un universo maggiormente ibrido in cui uomini e macchine creano un rapporto di simbiosi, stiamo parlando del mondo dei co-bot (robot collaborativi).

A rivelarlo è una ricerca firmata dall’accademico Dong Yuanfa dello Intelligent Manufacturing Innovation Technology Centre, China Three Gorges University. L’uomo e il suo team hanno chiesto a otto volontari di vestire un paio di sensori non invasivi, quindi di sottoporsi a centinaia di ore di addestramento così da sviluppare una sincronia con gli strumenti testati. Il primo apparecchio messo in campo è stato un cerchietto capace di intercettare le onde cerebrali e prevedere le intenzioni del lavoratore, il secondo assumeva la forma di una costellazione di sensori da far aderire sul braccio dominante dei soggetti, così da studiarne i movimenti muscolari. Il documento annuncia trionfalmente di aver riscontrato una precisione di cooperazione del 96%, ovvero di aver creato il contesto ideale per cui dei bracci meccanici siano in grado di fornire all’operatore l’assistenza di cui ha bisogno ancor prima che egli ne faccia esplicitamente domanda.

Tutto molto bello, se non fosse che l’applicabilità pratica dello strumento è estremamente dubbia. Se si tiene conto dei soli impulsi cerebrali, la performance dello strumento crolla a un meno impressionante 70%, in più l’uso di questi accorgimenti finisce velocemente con lo stremare gli operai. La fascia, essendo esterna, si dimostra poco sensibile e richiede da parte di chi la veste una concentrazione costante e profonda, mentre gli elettrodi pare che affatichino non poco i muscoli. Si è valutato di intessere i sensori direttamente negli abiti, ma anche nel caso ci sono dubbi che questi possano essere funzionali visto che gli indumenti potrebbero muoversi o i contatti potrebbero essere disturbati dal sudore sviluppato in fase di movimento.

Risultati dubbi e dipendenti straziati dalla stanchezza sono presupposti terribili per concretizzare le ambizioni dichiarate da Yuanfa, ovvero trovare un escamotage con cui ammortizzare i costi umani del lavoro di assemblaggio, i quali rappresentano a suo dire il 20-30% dei costi sostenuti dalle aziende cinesi. Un costo che ora come ora sembra destinato a crescere poiché la manodopera sta diventando sempre più onerosa anche entro i confini del gigante asiatico, inoltre la società cinese sta invecchiando velocemente e c’è una sensibile latitanza di nuove leve che vadano a sostituire coloro che si ritirano dal mercato del lavoro.

Un problema molto vicino alla realtà italiana, realtà in cui sempre più contadini e industriali vagliano l’idea di ricorrere alla robotica per sostituire una componente umana ormai estremamente difficile da reperire, almeno a costi contenuti. Non sorprende dunque lo scoprire che non solo il Bel Paese è celebre in tutto il mondo per le sue competenze ingegneristiche, ma che in questi anni la Cina abbia liberamente attinto [1] alle imprese e alle esperienze nostrane del settore.

[di Walter Ferri]