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Il caso Djokovic riporta l’attenzione sulla condizione dei migranti in Australia

La vicenda che ha visto protagonista il tennista serbo numero uno al mondo Novak Djokovic, chiuso per alcuni giorni all’interno di un hotel che accoglie migranti in attesa di permesso di soggiorno le cui condizioni di igiene erano a dir poco pessime, ha acceso i riflettori sulla condizione dei migranti che richiedono asilo in Australia. Si tratta di una situazione che da anni viene denunciata da numerose ONG internazionali, tra le quali Amnesty International, Human Rights Watch e Save the Children, le quali hanno più volte descritto l’allarmante situazione nella quale si vengono a trovare i richiedenti asilo arrivati nel Paese via mare. Tra questi, alcuni attendono da più di nove anni di veder regolarizzata la propria posizione.

Le condizioni nelle quali è stato detenuto “il più forte sportivo al mondo” [1] in attesa della decisione circa la possibilità di rimanere sul territorio australiano hanno suscitato l’indiganzione della comunità internazionale, se non altro quella sportiva. A prescindere dall’esito della vicenda, tutto si concluderà nel migliore dei modi per Novak Djokovic, che partecipi o meno agli Australian Open. All’interno dell’hotel in cui si trovava, tuttavia, vivono più di 30 rifugiati [2], i quali attendono da mesi, se non anni, di vedere regolarizzata la propria condizione di immigrati e tornare alla libertà. All’interno della struttura fatiscente, dalla quale non sono autorizzati ad uscire, vivono in una condizione di abbandono morale e materiale da parte delle istituzioni: le camere sono popolate dagli scarafaggi ed il cibo è deteriorato e a volte infestato di larve.

 

Il Park Hotel è solo uno dei numerosi APOD, ovvero luoghi di detenzione alternativa, nei quali vengono detenuti i migranti. Secondo il Dipartimento degli Affari Interni [5] sono almeno 103 le persone detenute in questi luoghi al 30 settembre 2021, su una popolazione totale di 1459 migranti in detenzione. Di questi, 317 (quasi il 22%) si trovano in detenzione da più di 3 anni, 117 (l’8%) da più di 5 anni. La media della durata della detenzione per un migrante è di 2 anni circa.

Il ricorso alla detenzione, in particolare di bambini e famiglie, è utilizzato dal governo australiano come deterrente per scoraggiare l’arrivo di altri migranti, nonostante si tratti di una misura che andrebbe utilizzata in modo eccezionale e nonostante si sia cercato di abolirla con le modifiche del 2013 al Migration Act. Se per gli adulti, inoltre, il tempo di detenzione andrebbe ridotto il più possibile, i bambini non dovrebbero finirci affatto. L’approccio duro lungo i confini è tuttavia una tattica utilizzata dai governi populisti australiani da anni, che contribuisce a giustificare gli abusi come mezzi d’intervento.

Associazioni come Human Rights Watch [6] (HRW) e Save the Children [7] denunciano da anni la situazione di migranti e minori in questi centri. Nonostante gli investimenti straordinari (più di nove miliardi di dollari) fatti tra il 2013 e il 2016 per potenziare le strutture esistenti e costruirne di nuove, le condizioni di vita all’interno rimangono deprecabili. Va notato che l’Australia è Paese firmatario della Convenzione sui Rifugiati ed è un paese ricco e benestante, ragion per cui i servizi fondamentali come l’accesso alle cure mediche e all’educazione dovrebbe essere garantito. Tra le problematiche riscontrate all’interno dei centri, in particolare in quelli situati all’esterno dei confini Australiani come quelli nell’isola di Nauru o in Papua Nuova Guinea, vi sono la scarsa possibilità di accesso all’acqua, l’alto tasso di violenza e di aggressioni sessuali sui bambini, la mancanza di programmi per la tutela dei minori, le perquisizioni giornaliere e generali condizioni di abbandono. Episodi di tentato suicidio e di sindrome da stress post traumatico (PTSD) come conseguenza delle condizioni di detenzione sono stati riscontrati in moltissimi bambini.

Nel 2016, il consulente per i diritti dei bambini di HRW aveva affermato che “Portare i rifugiati adulti e persino bambini al punto di rottura con abusi continuativi sembra essere uno degli obiettivi dell’Australia“. Le autorità australiane, denuncia HRW [11], sono consapevoli degli abusi che avvengono, ma il fatto che questi vengano ignorati suggerisce che la violenza consapevole sia parte della politica di gestione dell’immigrazione.

Quando i riflettori sulla vicenda di Djokovic si abbasseranno, è auspicabile che l’attenzione della comunità internazionale rimanga alta. Quando a calpestare i diritti fondamentali sono i Paesi ricchi che se ne fanno promotori, il silenzio della comunità è ancora più assordante.

[di Valeria Casolaro]