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Gedi: l’editore di Repubblica nei guai per truffa, la notizia che nessun media riporta

Il sogno di ogni azienda: scaricare per anni gli stipendi più costosi dei propri dipendenti ad altri e fare cassa con i soldi risparmiati. Magari, se possibile, buttare nel calderone del bilancio statale il salatissimo conto da pagare. Secondo la procura di Roma, che scava in silenzio da 4 anni insieme ad in Inps e Inl, è esattamente quello che è successo con decine di manager e dipendenti del gruppo Gedi: l’ipotesi, molto grave, è di truffa ai danni dello Stato, aggravata dall’entità del danno patrimoniale. Il gruppo Gedi non è un piccolo editore di provincia: è la flotta editoriale che gli Agnelli, ossia Exxor, hanno rilevato da De Benedetti e che comprende, oltre alla corazzata Repubblica, anche La Stampa, il Secolo XIX, 9 testate locali, l’Espresso e diversi periodici, oltre a tre emittenti radiofoniche nazionali.

Tanta roba, insomma. E un’accusa pesante, per una delle portaerei nel panorama dei media italiani: aver taroccato carte e conti, per ottenere illecitamente Cigs e prepensionamenti, attraverso il demansionamento e il trasferimento di decine di persone in organico, si parla di 70 tra dirigenti e giornalisti. Una truffa degna dei migliori Totò e Peppino, se confermata. Manager con stipendi più che lauti che sono passati da un’azienda all’altra del gruppo, con qualifiche drasticamente rimpicciolite (da manager a grafici), e guardacaso da aziende che non avevano diritto ad ammortizzatori sociali, perché con bilanci floridi, ad altre nelle quali invece grazie ad accordi con sindacato ed enti erogatori, sono stati concessi milioni di contributi sulle spalle dello Stato. In questa palude di furbi e furbetti, secondo gli inquirenti e secondo gli istituti che hanno svolto gli accertamenti insieme ai magistrati (Inps e Inl), non si salva nessuno. Secondo l’ipotesi investigativa, un triplice patto d’acciaio tra azienda, sindacati e dipendenti, con gli enti che nella migliore delle ipotesi sono restati a guardare, e che è stato svelato nel 2016, quando un dirigente del gruppo ha scritto una mail a Tito Boeri, all’epoca presidente dell’Inps, facendo una domanda più che retorica e che riguardava, appunto, l’ipotetica truffa.

Quattro anni prima, una segnalazione anonima di anomalie nel gruppo era finita nel cestino, dopo che il presidente di Inps Lazio, Gabriella Di Michele, aveva dichiarato di non aver ravvisato nessuna irregolarità dopo un controllo amministrativo effettuato sui dipendenti del gruppo che all’epoca dei fatti era ancora l’Editoriale l’Espresso ed era in mano alla famiglia De Benedetti, presidente l’ingegner Carlo che però a quanto risulta non ha avuto nessun coinvolgimento giudiziario nella vicenda. Vicenda nella quale, è bene ricordarlo, sono indagati tre figure apicali del gruppo, Roberto Moro, Corrado Corradi e Monica Mondardini: per tutti c’è l’ipotesi di rinvio a giudizio. Ma proprio pochi giorni fa, ad un passo da Capodanno, la procura di Roma ha disposto il sequestro cautelautivo di oltre 30 milioni di euro sui conti del gruppo, calcolati sulla base di analogo illecito profitto derivante dal mancato pagamento di stipendi e compensi a dirigenti e dipendenti del gruppo, scaricati appunto sui conti pubblici. Rischiano o per meglio dire sono già nel mirino anche la settantina di dipendenti, tra quadri e altri, che avrebbero illegittimamente percepito cassa integrazione e beneficiato di prepensionamenti. Lo Stato chiederà loro la restituzione, anche in solido con i membri degli enti di previdenza che hanno avvallato quegli accordi.

Una vicenda scottante e per molti versi inquietante, non solo perché riguarda uno dei primi gruppi editoriali italiani. Ma anche per altri motivi. Per esempio, tolto pochissimi casi, tra cui La Verità [1] che a fine dicembre ha fatto lo scoop col sequestro milionario da parte della procura di Piazzale Clodio, o Il Fatto Quotidiano [2] che si è intestato l’avvio dell’inchiesta, con segnalazioni, nel panorama dei giornali italiani nessuno ha dato conto di questa patata bollente. Sarà che forse questo “metodo” di gestione dei dipendenti, secondo gli inquirenti, potrebbe essere non essere stato usato solo dal gruppo Gedi? E che quindi, stando alle notizie di corridoio, sarebbero pronte altre ispezioni e altre verifiche incrociate tra enti previdenziali e procure, se non già in corso, sui conti e le posizioni di altri grandi gruppi come RCS (editore tra l’altro del Corriere della Sera) e Sole 24 Ore. Il sospetto degli inquirenti è che anche altre aziende editoriali abbiano utilizzato il sistema-Gedi per risparmiare soldi e scaricare costi sui conti statali. Un altro masso sulla reputazione già non certo cristallina dei giornali e dei giornalisti in Italia.

RETTIFICA DEL 10/01/22 ore 15:50: Nella versione dell’articolo pubblicata originariamente avevamo scritto che il sig. Tito Boeri, era stato collaboratore del quotidiano La Repubblica mentre era presidente dell’INPS. Si tratta di una informazione errata. Il diretto interessato ha precisato a L’Indipendente di aver «interrotto la collaborazione con La Repubblica dal giorno stesso in cui era stato proposto alla Presidenza dell’INPS, ben prima della nomina». Ci scusiamo per l’imprecisione con i lettori e, naturalmente, con il prof. Tito Boeri.

[di Salvatore Maria Righi]