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L’India si ribella ai colossi della moda usa e getta

I fornitori di grandi case di moda non pagano il salario minimo ai propri lavoratori. Nello specifico, ciò che emerge dalla nuova indagine dell’organizzazione internazionale per i diritti dei lavorati WRC (Workers Rights Consortium [1]), è la grave situazione dei dipendenti delle maison nello stato indiano del Karnataka. Sono più di 400.000 i lavoratori tessili in Karnataka che non ricevono il salario minimo legale dello stato dall’aprile 2020 e, per questo motivo, stanno letteralmente soffrendo la fame. Il Karnataka è una delle zone più importanti per l’industria dell’abbigliamento dell’India e ci sono migliaia di fabbriche con centinaia di migliaia di lavoratori. Ecco perché si parla [2] del più grande furto salariale dell’industria della moda e fautori di questa insolenza sono i fornitori di enormi marchi padri della cosiddetta fast fashion come Zara, Nike, Puma, H&M, C&A, Tesco, Gap, Marks & Spencer. Come riporta The Guardian [2], secondo la stima del WRC l’importo totale dei salari non pagati finora supererebbe i 41 milioni di sterline (quasi 50 milioni di euro).

I moti del WRC hanno avuto inizio due anni fa, quando l’aumento annuo del costo della vita fino al salario minimo – VDA (indennità a carico variabile) – è arrivato a 417 rupie indiane (circa 5 euro). Era aprile del 2020. Tale supplemento non è mai stato riconosciuto ai dipendenti indiani, per un totale di 8.351 rupie (99,24 euro) previsti a dipendente, mai pagati. Eppure i marchi sono consapevoli del loro ruolo fondamentale per fermare un furto salariale tanto grave che poi è sinonimo di menefreghismo e di violazione dei diritti di un enorme numero di persone. Tuttora, i lavoratori si trovano in una situazione ingiusta e disumana e, a soffrirne di più (come si apprende secondo i dati e le testimonianze raccolte dal WRC) è la forza lavoro femminile. Quando si parla con i fornitori, questi si difendono dietro un decreto che sarebbe stato emesso poco dopo aprile 2020 dal Ministero del lavoro e dell’occupazione. Tale decreto sospenderebbe l’aumento del salario minimo proprio poco dopo la sua attuazione. Ci sarebbe ancora un reclamo presso i tribunali del Karnataka, a loro dire…ma in realtà, a settembre 2021, l’Alta Corte del Karnataka [3] ha definito [4] come illegale il decreto a cui si appigliano i fornitori, imponendo l’obbligo [4] di dare ai lavoratori il salario minimo con tutti gli arretrati compresi, a prescindere da qualsiasi procedimento giudiziario.

Sempre secondo il WRC, l’unico settore industriale a non conformarsi all’ordine dell’Alta Corte sarebbe proprio quello dei fornitori di abbigliamento. Ma gli svariati marchi che acquistano capi dal Karnataka hanno dichiarato di avere avuto ragioni per credere che i loro fornitori rispettassero l’ordine dell’Alta Corte. Nonostante un attento e acceso lavoro di protesta da parte del WRC, ciò che poi appare nei fatti è che i marchi occidentali sembrano non intervenire, tantomeno adottare misure efficaci per dare inizio a un cambiamento. Oltre a dichiarazioni piene di speranza belle parole riportate dal The Guardian [2], le grandi aziende di moda non fanno abbastanza o, apparentemente, proprio “non fanno” per riconoscere un problema strutturale che non riguarda solo i salari “non pagati per intero” ma una filosofia di sfruttamento che dovrebbe risultare abolita da tempo.

[di Francesca Naima]