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Il Kazakistan è in rivolta

Non si placa la rivolta scoppiata improvvisamente in Kazakistan. Le notizie che arrivano sono frammentate e difficili da verificare, ma è certo che poche ora fa il presidente Kazako, Qasym-Jomart Toqaev, ha sciolto il governo del Primo Ministero Askar Mamin e imposto lo stato di emergenza ad Almaty, la più grande città del paese, e nella regione di Mangghystau in seguito alle proteste violente innescate dall’aumento dei prezzi del carburante. Toqaev ha inoltre ordinato al nuovo governo in carica di ripristinare i controlli sul prezzo del gas, del petrolio e di altri beni di consumo fondamentali. Una mossa per cercare di calmare la folla, che al momento non pare sortire risultati. Secondo fonti ancora non del tutto confermate, ad Almaty, gli scontri tra polizia e manifestanti avrebbero causato circa 180 feriti, di cui 7 in gravi condizioni. Inoltre, sono stati assaltati e dati alle fiamme diversi edifici governativi compreso il municipio della città.

Le proteste inizialmente partite il 2 gennaio nella regione di Mangghystau per ragioni economiche, si sono poi trasformate in sommosse politiche allargandosi anche ad altri parti del paese. In Almaty, infatti, i manifestanti hanno chiesto le dimissioni del governo intonando cori nei quali chiedevano “la cacciata del vecchio”, un chiaro riferimento all’ex presidente Nursultan Nazarbayev: il padre padrone del Kazakistan dal 1991 sino al 2019, quando ha scelto di lasciare la carica di Presidente al suo “pupillo” Toqaev, dato che l’unico partito di opposizione si era rifiutato di presentare un candidato alla presidenza. Nazarbaev continua ad esercitare un ruolo fondamentale nella politica del paese essendo il Presidente del Consiglio di Sicurezza del Kazakistan e il “Leader della nazione”, cariche che gli garantiscono ancora un certo potere decisionale nonché l’immunità penale. Per capire meglio quale sia peso politico di Nazarbaev in Kazakistan, basti pensare che la capitale Astana, è stata rinominata Nur-Sultan in suo onore nel 2019.

Negli anni a seguito del crollo dell’Unione Sovietica, il Kazakistan ha cercato di portare avanti una politica estera pragmatica volta al bilanciamento dell’influenza delle varie potenze presenti in Asia Centrale, Cina, Stati Uniti e appunto Russia. Gli Stati Uniti, il 25 dicembre 1991, sono stati il ​​primo paese a riconoscere l’indipendenza del Kazakistan aprendo la loro ambasciata ad Almaty nel gennaio 1992. Negli anni successivi all’indipendenza del Kazakistan, i due paesi hanno sviluppato forti relazioni bilaterali e concordato un partenariato strategico, rafforzato dal vertice tenutosi nel gennaio 2018. Nonostante i rapporti con Washington, il Kazakistan rimane tuttavia uno dei principali alleati della Russia, avendo preso parte a tutti i progetti di integrazione di Mosca, come il Commonwealth degli Stati indipendenti, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, l’Unione economica eurasiatica (EEU) e l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO). Il presidente russo Vladimir Putin ha visitato il Kazakistan ventotto volte durante il suo “regno”: più di ogni altro Paese. Russia e Kazakistan oltre ad avere forti legami economici, sono inoltre legati dalla questione etnica dato che circa il 19% della popolazione attuale del Kazakistan è appunto di etnia russa.

Se le proteste in Kazakistan dovessero continuare potrebbero avere ripercussioni anche sulle altre repubbliche ex Sovietiche dell’Asia Centrale, dove simili movimenti di protesta potrebbero riproporsi. Questa ondata di malcontento sviluppatasi così velocemente ha chiaramente colto di sorpresa il governo Kazako, da sempre considerato il più stabile della regione, che si è trovato impreparato a limitare la rabbia dei propri cittadini. Se le proteste dovessero continuare anche nei prossimi giorni si aprirebbero nuovi scenari anche a livello internazionale, dato che le potenze (Russia, Cina, e Stati Uniti) interessate agli sviluppi nella regione potrebbero tentare di accrescere le loro influenze all’interno del paese. Per la Russia sarebbe importante mantenere lo status quo tramite il governo di Toqaev, e l’influenza di Nazarbaev. Mentre gli Stati Uniti potrebbero tentare di sfruttare le opposizioni all’interno del paese per limitare l’influenza russa in Kazakistan. La Cina, invece potrebbe tentare di incrementare il proprio peso economico in Kazakistan, dato che il paese detiene ingenti riserve di petrolio e gas naturale oltre a risorse minerarie tra cui ferro, carbone e metalli utilizzati per la produzione di apparecchi elettronici. La situazione è in evoluzione ed è ovvio che causi preoccupazione in particolare a Mosca, visto che la Russia condivide con il Kazakistan ben 7.600 km di confine.

[di Enrico Phelipon]