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La città di Matatā, in Nuova Zelanda, è l’esempio di un futuro distopico

Nel piccolo centro abitato di Matatā, in Nuova Zelanda, sta avendo luogo il cosiddetto “ritiro gestito [1]“. Ciò vuol dire che, in maniera organizzata e controllata, alcune aree della città vengono man mano evacuate perché a rischio, visto il cambiamento climatico e geologico. Da poco più di dieci anni, gli abitanti di Matatā vivono quel che potrebbe essere il futuro dei cittadini di tutto il mondo, perché il Governo della Nuova Zelanda non ha fatto altro che adattarsi – forzatamente – alle conseguenze del cambiamento climatico, ormai risaputo essere preponderante. Incendi, inondazioni, innalzamento del livello dei mari…piogge meno frequenti (visto il riscaldamento globale) ma più intense, che causano danni irreparabili, proprio come è accaduto nella città di Matatā.

Il cambiamento climatico [2] interessa il mondo intero e la Nuova Zelanda è, nell’ultimo decennio, stata particolarmente sotto minaccia, motivo per cui rappresenta uno dei tristi [3] – e tra i primi – esempi di quel che, potenzialmente, potrebbe accadere altrove. A Matatā nel 2005, delle insolite piogge hanno causato il diffondersi di fanghi liquidi con l’accumulo di ben 700.000 metri cubi di detriti. Ventisette case sono state rase al suolo e ottantasette sono state gravemente danneggiate. Per i successivi anni, più intemperie si sono abbattute nell’area neozelandese, così il Comune aveva inizialmente proposto di costruire una barriera per proteggere i residenti. Un piano che, poi, era risultato fallimentare, perché non sufficiente. Allora, si era passati alla “ritirata gestita”. Nonostante il fondo di 15 milioni di dollari stanziato nel 2016 dal Governo per aiutare i cittadini di Matatā, la parte economica non basta per colmare le conseguenze psicologiche di un forzato abbandono dei propri nidi.

Mentre il NIWA [4] (il principale istituto di ricerca neozelandese sull’acqua e sull’atmosfera) monitora ciò che accade nel reale così da prevenire tragedie e mentre il Governo agisce per un’evacuazione il più “ordinata” possibile, i cittadini trovano ovviamente difficile e straziante dovere abbandonare i luoghi simbolo della loro esistenza. Se e quando posti davanti a una difficile scelta, gli abitanti cercano, il più delle volte, di adottare strategie di difesa (dighe più alte, nuovi argini…) invece di lasciare le proprie case e iniziare un’altra vita altrove. Ma le strategie di difesa, se portate avanti per troppo tempo, potrebbero non essere più efficaci. Così, tra le tante battaglie legali e politiche, gli ancora pochi residenti nella sempre più desolata Matatā, si oppongono a un tale “sfrattamento involontario” rimanendo a occupare – spesso abusivamente – quella che una volta era la loro terra. Uno scenario che, prima o poi, potrebbe verificarsi in altre parti del globo.

[di Francesca Naima]