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Le forze della NATO starebbero circondando l’Ucraina

Stando a fonti consultate dalla testata tedesca Die Welt [1], la NATO starebbe preparando all’azione la Response Force (NRF) e, più nello specifico, lo starebbe facendo mantenendo sul chi vive la brigata Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), brigata anche nota come “punta di lancia”. 40.000 soldati si starebbero dunque preparando a scendere in azione, con i loro comandanti che hanno lo sguardo ben fisso sulla situazione di tensione in Ucraina. Qualora la Russia dovesse invadere la nazione ex-sovietica, le truppe impiegheranno solamente cinque giorni a raggiungere i campi di battaglia, due in meno a quanto fosse preventivato fino a poche settimane fa.

Le fonti ufficiali non hanno voluto rilasciare commenti, tuttavia sussistono diversi elementi che danno a intendere la dichiarazione raccolta sia effettivamente affidabile, primo fra tutti il fatto che queste manovre non avrebbero fatto altro che “normalizzare” gli obiettivi strategici della NRF, corpo militare che è stato pensato appositamente per garantire un primo intervento entro cinque giorni dall’inizio missione. Va dunque sottolineato che la VJTF sia stata originariamente progettata in occasione del summit NATO del 2014, quello stesso 2014 in cui la Russia ha annesso la Crimea. Fatalmente, sempre in quell’occasione l’allora Presidente ucraino, Petro Poroshenko, aveva incontrato Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti per chiedere sostegno nel resistere alle manovre, politiche e militari, del Cremlino.

Tutto normale, dunque? Si e no. La NATO ha certamente il diritto di muovere le proprie risorse in modo da ottimizzarne l’efficacia, tuttavia sarebbe ingenuo non riconoscere l’importante valore retorico di una simile presa di posizione, soprattutto tenendo in considerazione che a finire in prima linea sarebbe una brigata addestrata di fatto per combattere contro il nemico russo. Un simile aggiornamento delle forze in campo manifesta un atteggiamento diplomatico del tutto affine all’ipercriticato schieramento delle armate voluto da Mosca sul confine con l’Ucraina, cosa che in qualche modo giustificherebbe l’apparente riservatezza della NATO, la quale preferisce certamente mantenere l’idea che solo una delle parti in causa si stia dedicando concretamente agli stratagemmi militarizzati.

Che qualcosa si stia muovendo è comunque palese. Tutto da per esempio a intendere che il trasferimento dei jet della 336ª Fighter Squadron americani in Romania – avvenuto appena settimana scorsa [2] – sia parte integrante di questo schema bellico e che le armate occidentali si stia formalmente preparando all’azione. Solo formalmente, però. Il panorama politico odierno suggerisce infatti che né la Russia, né la NATO siano veramente interessate a violare i fragili equilibri della cosiddetta “nuova cortina di ferro”, ovvero il cuscinetto strategico che separa l’Ovest dall’Est.

Non a caso, l’uomo a capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha avanzato recentemente una proposta di tregua all’omologo statunitense, Joe Biden. Si tratta di una proposta palesemente inaccettabile per gli USA, tuttavia l’offerta rappresenta un punto di partenza scenografico che permetterà ad ambo le parti di gestirsi spazi di contrattazione generosamente ampi. In altre parole, ambo le parti potrebbero trovare un punto di incontro e convincere i propri cittadini di aver ottenuto un’importante vittoria diplomatica. In quest’ottica, gli eserciti di ambo le parti non sarebbero che complesse scenografie davanti a cui intrattenere dei negoziati che, stando alle parole del Cremlino, dovrebbero aprirsi a inizio gennaio.

C’è ancora della confusione sul dove voglia andare a parare questo confronto, tuttavia è facile che l’intento di Mosca sia quello di ribadire quanto già deciso dal Protocollo di Minsk II, l’accordo stipulato nel 2015 tra Ucraina, Russia, Francia e Germania che non è mai completamente entrato in azione. Una delle misure disattese prevedeva infatti che tutte le armate straniere, gli equipaggiamenti militari esteri e i mercenari avrebbero dovuto abbandonare il territorio ucraino sotto la supervisione dell’OSCE, cosa che, se attuata, risalderebbe lo status quo.

[di Walter Ferri]