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Indonesia, una sentenza segna la vittoria degli indigeni contro l’olio di palma

In Indonesia, nella provincia di Papua, una causa intentata da due compagnie di olio di palma, per ribaltare la decisione di un governo distrettuale, è stata respinta [1]. Il tentativo delle aziende era quello di veder ripristinati alcuni loro permessi, tempo prima revocati dalle autorità locali per una serie di violazioni. Per le popolazioni indigene, il cui territorio rientrava nelle concessioni delle compagnie, la sentenza offre una rara possibilità di veder finalmente riconosciuti ufficialmente i loro diritti alla terra.

Il 27 aprile scorso, il governo locale di Sorong ha annullato i permessi di tre compagnie afferenti all’industria dell’olio di palma. La decisione è stata presa dopo anni di lotta delle comunità indigene della regione, le quali non hanno mai smesso di pretendere il loro diritto alla terra, nonché che i loro territori venissero difesi dagli interessi delle multinazionali. Il governo, in quella che si è da subito figurata come una posizione storica, ha dichiarato che le compagnie non hanno adempiuto ai loro obblighi come stabilito nei permessi originari. Ad esempio, non hanno riferito gli avanzamenti delle loro operazioni e nemmeno aggiornato i cambiamenti delle loro partecipazioni azionarie. Due delle tre aziende penalizzate hanno cercato di opporsi alla revoca ma il tribunale di Jayapura, almeno per ora, ha messo una pietra sulla questione. Le aziende, note con gli acronimi di PLA e SAS, potranno tuttavia ancora ricorrere in appello. Ma a sperare che la decisione venga definitivamente confermata, sono in tanti. I timori maggiori – espressi anche da Piter Ell, avvocato del governo del distretto di Sorong – sono infatti legati anche alla deforestazione. “Ci sono indicazioni – ha dichiarato a Mongabay [2] – che molte aziende che richiedono licenze per la palma da olio lo fanno esclusivamente per abbattere gli alberi che rientrano nelle concessioni. Venderne il legno, difatti, rappresenta un guadagno veloce. Questo potrebbe spingere i giudici a verificare se nelle concessioni revocate c’è qualche attività di disboscamento in corso”.

Le tre compagnie, nel complesso, disponevano di concessioni che coprivano oltre 90 mila ettari di terra. Terra a lungo rivendicata, almeno in parte, dalle popolazioni indigene. Battaglie simili sono aperte un po’ ovunque nel mondo, perché un po’ ovunque si fa fatica a conciliare l’espansione neoliberista con i diritti ancestrali di persone culturalmente tanto discostate dal modello capitalista. I soprusi a discapito di queste ultime sono all’ordine del giorno ma, ogni tanto, come in questo caso, le cose vanno nella direzione opposta.

[di Simone Valeri]