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Miniere sottomarine: la nuova frontiera “green” della geopolitica

Nell’era della “transizione green” e, soprattutto, dello scontro geopolitico tra i vari imperi mondiali, su tutti USA e Cina, c’è chi crede che la strada sia l’estrazione mineraria sottomarina. Sul fondo dell’Oceano Pacifico giacciono trilioni di rocce grandi come patate composte da metalli quali il litio, il nichel il cobalto e il manganese, tutti elementi necessari per la costruzione di batterie per veicoli elettrici. Gli squali, quelli umani, si sono già mossi e il Codice minerario che l’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) – organizzazione affiliata alle Nazioni Unite – doveva adottare non vedrà la luce prima di due anni.

Mentre cresce l’opposizione di moltissimi Stati contro l’estrazione mineraria sottomarina ce ne sono altri che non vedono l’ora di consentire l’inizio dello sfruttamento in profondità. La lotta per la redazione del Codice minerario presso l’ISA si prende altri due anni di tempo dopo che è saltato l’ordine del giorno inerente presso la riunione mondiale che in questi giorni riunisce virtualmente i 167 Stati membri. L’opposizione del micro-Stato dell’Oceano Pacifico, Nauru, ha fatto saltare le discussioni per l’adozione del Codice minerario chiedendo una fase interlocutoria ulteriore con la redazione di una tabella di marcia.

Nauru, con soli 21 chilometri quadrati, è il terzo paese più piccolo del mondo dietro Città del Vaticano e Principato di Monaco, e la più piccola Repubblica del pianeta, ma dietro la sua decisione c’è qualcosa di più grande. Nauru ha agito per conto di Nauru Ocean Resources Incorporated (NORI), una consociata interamente controllata da The Metals Company, una società registrata in Canada e precedentemente chiamata DeepGreen. «Il futuro verde è metallico», ha detto [1] Gerard Barron, CEO della compagnia canadese, in riferimento alle “patate” da raccogliere ed estrarre dal fondale marino oceanico. «Questi noduli, come quello che tengo in mano, sono il nuovo petrolio», ha affermato il CEO durante un’intervista con The Detroit News, sostenendo che l’estrazione mineraria sottomarina è molto meno impattante rispetto a quella in terraferma.

Douglas McCauley, professore di biologia marina presso l’Università della California-Santa Barbara, ha affermato: «C’è una base abbastanza chiara della scienza che sappiamo che ci saranno alcune gravi ripercussioni negative per l’estrazione mineraria sulla biodiversità oceanica».  Nella lettera [2] che più di 600 scienziati ed esperti di politica hanno firmato, in cui si esortano le Nazioni Unite a mettere un blocco su qualsiasi licenza mineraria, si legge che «la perdita di biodiversità e il funzionamento dell’ecosistema che sarebbe irreversibile su scale temporali multigenerazionale».

La decisione adottata da Nauru, oltre a riflettere la traiettoria industriale e tecnologica impressa al mondo, con la fantomatica “transizione green [3]”, nasconde lotte geopolitiche di enormi proporzioni ove i contendenti principali sono gli Stati Uniti e la Cina.

Mentre sale a livello globale la richiesta dei metalli utili alla costruzione di batterie per veicoli elettrici, la Cina dispone del 75% di tutta la capacità di produzione di batterie e circa l’80% della capacità di raffinazione globale dei metalli inizialmente citati. «Non possiamo semplicemente ridistribuire la torta lontano dai cinesi e da altri paesi», ha detto Duncan Wood, specialista in politica nordamericana presso il Wilson Center, il quale ha proseguito dicendo: «Semplicemente non c’è abbastanza prodotto in questo momento per soddisfare la domanda». La catena di approvvigionamento globale, con la crisi pandemica, ha palesato le criticità della centralità della Cina nella produzione mondiale e il Wilson Center spiega, nel documento The Mosaic Approach: a Multidimensional Strategy for Strengthening America’s Critical Minerals Supply Chain [4], quale debba essere la strategia statunitense nel riposizionamento globale delle economie e delle catene di approvvigionamento, compresa quella delle materie prime frutto dell’estrattivismo.

La compagnia guidata da Barron intende soddisfare questa esigenza dettata dalla nuova agenda globale “transizionista” che vede gli interessi imperiali in competizione per la supremazia mondiale; e The Metals Company non è la sola [5]: sulla “torta” si sono gettati la belga GSR e UK Seabed Resources, una sussidiaria dell’appaltatore della difesa statunitense Lockheed Martin.

[di Michele Manfrin]