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La lotta eco-sociale degli indigeni non si ferma in tutto il Nord America

«We are on the front line, walking with the death», è la frase di una celebre canzone del collettivo Savage Family [1] e rappresenta in maniera forte la realtà che le comunità indigene del Nordamerica si trovano a dover affrontare quotidianamente. Dal Canada passando per i due Dakota, al Minnesota fino a Corpus Christi in Texas, le comunità sono in lotta per affermare la loro sovranità, rivendicare la propria identità, cultura e tradizioni, e per difendere i territori sacri e ancestrali dallo scempio del pauperismo colonizzatore che subiscono da secoli.

È questo il caso delle comunità indigene della British Columbia, in Canada, che si oppongono alla devastazione che i progetti di oleodotti e gasdotti portano sulle terre in cui vivono da migliaia di anni. Queste comunità hanno costruito dei campi, degli accampamenti, da cui portano avanti la loro resistenza nei confronti delle compagnie private impegnate nelle opere di costruzione delle infrastrutture energetiche e anche della polizia e del governo da cui essa dipende. Così come la Royal Canadian Mounted Police (RCMP) ha costituito dei veri e propri checkpoint [2] con cui non fa accedere certe persone a certi luoghi, ovvero i discendenti di quelle stesse persone che popolavano quelle terre, Gidimt’en Access Point [3] è il luogo di accesso al Coyote Camp, uno degli accampamenti di resistenza situati nell’Ovest del Canada, così come 44 Camp, spazi di resistenza indigena al progetto denominato Coastal Gaslink, o CGL, considerato un pericolo enorme per tutte le comunità indigene che vivono nei territori interessati dal progetto. Negli ultimi tempi sono andati intensificandosi gli attacchi e gli arresti da parte della polizia a danno delle tribù Wet’suwet’en, in prima linea in questa lotta, come anche il tentativo di creare divisione e conflitto tra le varie tribù.

In merito al gasdotto CGL, i membri del Coyote Camp [4], dicono: «Se costruito, accelererebbe la costruzione dei successivi gasdotti bituminosi e fratturati e creerebbe un incentivo per le compagnie del gas a sfruttare i depositi di scisto lungo il passaggio del gasdotto. Questo progetto mira a tracciare un percorso, in quello che è stato concepito come un “corridoio energetico” attraverso alcune delle uniche aree incontaminate rimaste in tutta questa regione. Se il CGL dovesse essere costruito e diventare operativo, trasformerebbe irreversibilmente l’ecologia e il carattere dello Yintah e dei territori circostanti».

Se nel giugno di questo anno [5] per i Lakota si è registrata un importante vittoria dopo anni di dura battaglia contro il Dakota Access Pipe Line (DAPL), che però non deve far cedere a comprensibili entusiasmi, nel Minnesota la lotta prosegue [6] contro la famosa Line 3 [7] che dal Canada trasporta greggio da scisti bituminosi fino al Lago Superiore, attraversando la Chippewa National Forest e la Leech Lake Reservation, ovvero una riserva Ojibwe facente della Minnesota Chippewa Tribe. L’oleodotto è ormai entrato in funzione ma gli attivisti rimango accampati [8] sulla “linea del fronte”, come a Camp Migizi.

Adesso che la Line 3 è pronta, funzionante e inserita nella fitta rete di tubature che si estendono per tutto il Nordamerica, la medesima compagnia canadese che gestisce la “linea Chippewa”, la Enbridge, ha annunciato di voler aumentare la capacità del proprio sistema di oleodotti al fine di collegare un hub di stoccaggio in Oklahoma con il più grande hub di esportazione di petrolio degli Stati Uniti, quello di Corpus Christi, in Texas. Lo scorso ottobre, Enbridge ha acquistato questo strategico nodo dell’esportazione del greggio dalla compagnia Ingleside Energy Center potendo adesso gestire una gran parte del greggio che dal Canada arriva al Golfo del Messico, dopo varie diramazioni, per essere esportato nel mondo.

Dura la reazione [9] da parte della tribù Carrizo Comecrudo, uno dei popoli originari del peyote e non federalmente riconosciuto, e dell Indigenous Environmental Network (IEN) oltre che di altre organizzazioni e gruppi locali. «Abbiamo combattuto Enbridge sin dal pre-NAFTA per proteggere i nostri siti sacri», ha detto Juan Mancias, Presidente tribale di Carrizo Comecrudo. In un comunicato [10] dell’IEN si legge che «I popoli indigeni della Coastal Bend non permetteranno a Enbridge di sentirsi a proprio agio con i loro modi coloniali di distruggere le comunità indigene. Possono aspettarsi la stessa resistenza dalle comunità tribali in Texas come hanno fatto con la Line 3 [11]». La rete di attivisti si scaglia contro «l’effetto devastante dell’industria estrattiva a cui è stato permesso il regno libero per troppo tempo».

[di Michele Manfrin]