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Trame oscure: ‘Ndragheta e servizi segreti deviati pianificarono l’evasione di Riina

È davvero esplosivo il contenuto dell’informativa della Dia [1] depositata negli scorsi giorni al Processo d’Appello “’Ndrangheta Stragista”, già sfociato in condanne di primo grado all’ergastolo per il capomafia palermitano Giuseppe Graviano e per il boss calabrese Rocco Santo Filippone. Gli elementi di prova raccolti nella documentazione indirizzata alla Procura di Reggio Calabria riguardano le trame eversive che collegano l’universo dei servizi segreti deviati a quello della criminalità organizzata nell’era dei sequestri di persona e degli attentati mafiosi. Una collaborazione che arrivò fino al pianificare l’evasione dal carcere di Totò Riina, boss dei boss di Cosa Nostra.

Un crogiuolo di rapporti e attività criminali inscindibilmente legati ad un altro capitolo da sempre particolarmente oscuro: quello inerente la “Falange Armata”, sigla con cui furono rivendicati moltissimi attentati attribuiti a Cosa Nostra (tra cui l’omicidio Lima, le stragi di Capaci e via D’Amelio e le bombe del ’93), alla ‘Ndrangheta, alla Camorra, alla Sacra Corona Unita, alla Banda della Uno bianca e numerose altre azioni terroristiche di cui, nel tempo, la matrice è rimasta ignota. Tale sigla fu utilizzata per la prima volta nell’aprile del 1990, in seguito all’omicidio dell’operatore carcerario Umberto Mormile [2], il quale prima di essere ucciso sarebbe venuto a conoscenza di accordi indicibili tra esponenti di spicco dell’organizzazione mafiosa calabrese e membri dei servizi segreti e si sarebbe opposto ai “generosi” benefici carcerari concessi al boss ‘ndranghetista Domenico Papalia, allora detenuto ad Opera.

Soffermandosi sull’uccisione di Mormile, il pentito di ‘ndrangheta Vittorio Foschini riferì che «Antonio Papalia (mandante dell’omicidio assieme al fratello Domenico, ndr), come ci disse, parlò con i servizi che, dando il nulla osta all’omicidio (…), si raccomandarono di rivendicarlo con una sigla terroristica che loro stessi indicarono»: per l’appunto, quella della Falange Armata. Nell’informativa si legge che tale sigla sarebbe stata “costruita in laboratorio dalla ‘ndrangheta” su impulso di frange deviate dei servizi e che la struttura che la incarnava sarebbe stata parte interna di Gladio (organizzazione paramilitare italiana promossa dalla CIA per operazioni di stay-behind in ottica anticomunista), avrebbe inglobato membri scelti dei servizi e avrebbe coadiuvato per anni la mafia in affari e omicidi. L’uomo che materialmente uccise Mormile, Antonio Schettini, identificò la Falange Armata in una «creatura della ‘ndrangheta (…) creata per sopperire alla mancanza (…) degli approvvigionamenti derivanti dai sequestri di persona» che si verificò quando quella fase criminale estremamente redditizia si concluse. Fino a quel momento, infatti, nei «riscatti da un miliardo, i sequestratori prendevano 500, gli altri 500 li prendevano questi apparati che servivano per finanziare altre attività. Venuto meno questo bisognava creare qualcosa, un diversivo dove attingere i fondi». Corroborando il contenuto delle dichiarazioni dello Schettini, nel giugno 2017 il pentito Nicola Rocco Femia aveva riferito che «I servizi ci mangiavano con i sequestri…se arrivavano cinque miliardi, due miliardi se li prendono i Servizi…e una parte invece andava a chi gestiva il sequestro».

Dalle carte processuali è emerso inoltre che, nei mesi successivi al suo arresto (datato 15 Gennaio ’93), i servizi segreti italiani e la ‘Ndrangheta avrebbero collaborato attivamente [3] per pianificare l’evasione del capo dei capi di Cosa Nostra Salvatore Riina dal carcere in cui era recluso. A sottolinearlo è stato il collaboratore di giustizia Pasquale Nocera, ex ufficiale della legione straniera, ‘ndranghetista ed informatore dei servizi segreti. Nel marzo del 2019, al processo ‘Ndrangheta stragista, il pentito ha infatti raccontato che Maurizio Broccoletti, ex alto dirigente dei servizi che venne arrestato nel 1993 per lo scandalo dei fondi neri del Sisde nel 2000 [4], pochi mesi dopo la cattura di Riina avrebbe discusso del progetto di evasione del numero uno di Cosa Nostra con un agente libico. «Vittorio Canale (membro dei cavalieri di Malta, legato alla ‘ndrangheta e massone, ndr) poi mi disse che Broccoletti e questo soggetto lo avevano incaricato di organizzare l’evasione di Riina dal carcere – ha riferito Nocera [5] -. E gli consegnarono anche una prima rata con un acconto di centomila dollari. Ma il totale era molto di più. A cosa servivano i soldi? Ad assoldare un gruppo di 20 mercenari e procurare un elicottero. Da quello che ricordo questi mercenari dovevano essere serbi. Perché io, che militavo con la legione straniera, ero già rientrato a Belgrado dopo la Guerra del Golfo. C’erano già contatti con questi mercenari». Il progetto, però, naufragò.

I legami tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi segreti sono stati così raccontati dal pentito: «In ogni loggia della massoneria c’era un componente della ‘Ndrangheta, un uomo dei clan, e lo stesso succedeva nei Servizi. Praticamente si incorporava nella massoneria il santista di una locale. Era così che si controllavano i voti, i lavori pubblici, il riciclaggio, gli appalti, i posti di lavoro, i grandi affari ed anche il narcotraffico. Se una cosca deve avere rapporti con il cartello colombiano o con i trafficanti in Libia non è che ci va un semplice camorrista, ma quello che della cosca è inserito nelle famose massonerie deviate. La massoneria ha usato molto la ‘Ndrangheta».

Che il bandolo di una matassa intrisa di sangue innocente e ingarbugliata da decenni a causa di squallidi silenzi e gravissimi depistaggi sia stato finalmente individuato?

[di Stefano Baudino]