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I ritardi ferroviari di ieri raccontano molto sui guai della digitalizzazione italiana

Se viaggiate in treno ve ne sarete accorti: nel week-end l’Italia è stata vittima di atroci rallentamenti e di cancellazioni varie. Tutta colpa del lancio, tutt’altro che trionfale, di un software che avrebbe dovuto ottimizzare la gestione del nodo di Firenze, un software che, a dire della Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), è già stato introdotto con successo in altre stazioni, ma che alla metropoli toscana non ha creato che problemi.

Le fonti ufficiali sostengono fondamentalmente che il programma, l’Apparato Centrale Computerizzato Multistazione (ACCM), non sia stato in grado di gestire «la complessità del nodo ferroviario fiorentino e il sofisticato software che ne regola il funzionamento», cosa che ha impantanato una delle tratte essenziali per il trasporto nazionale, riverberando negativamente sulla programmazione di 130 treni con ritardi che hanno superato anche le tre ore.

L’assessore toscano ai trasporti, Stefano Baccelli, ha organizzato per il 7 dicembre una cabina di regia con Trenitalia e Rfi per cercare di trovare una soluzione ai problemi causati dall’aggiornamento e, soprattutto, ai difetti che sorgono a monte del sistema, ovvero quelle “complessità” che il programma non è stato in grado di armonizzare. Il disagio patito dai cittadini lo scorso week-end, insomma, è il perfetto banco di prova che vede come il pensiero magico della digitalizzazione si scontri con limitazioni che sono invece capillari.

Mentre Firenze era bloccata dai suoi guai informatici, la tratta Caserta-Foggia era infatti gravata da un più tradizionale guasto ai sistemi di gestione della circolazione. Tuttavia, pur senza contare l’obsolescenza di alcune delle infrastrutture italiane, il caso fiorentino evidenzia come l’implementazione del digitale sia condizionata a sforzi che difficilmente l’Italia sarà in grado di sostenere, almeno in maniera responsabile. La défaillance dell’ACCM si sarebbe potuta prevenire se il software fosse stato adeguatamente sottoposto ai dovuti test e a simulazioni confezionate sulle specificità del luogo, tuttavia questo genere di operazioni richiede tempo e risorse.

Il virtuale offre ai Governi un mezzo potente, ma la sua attuazione richiede dei costi non indifferenti: dalla progettazione all’aggiornamento, passando per il tutt’altro che secondario problema della sicurezza. I tecnici del settore sono numericamente inferiori alle necessità, in più quelli veramente competenti hanno un cachet dal peso significativo e sono fuori dalla portata delle casse statali. I risultati di questa tendenza li abbiamo visti negli intoppi patiti nelle scorse giornate dall’Rfi, ma anche dalla vulnerabilità dimostrata quest’estate della regione Lazio [1] e da altri casi omologhi [2] in cui strutture amministrative importanti si sono trovate in balia dei cybercriminali.

In un Paese in cui ci dimostriamo incapaci di preservare l’integrità dei ponti, la solidità delle scuole e l’efficacia degli spartitraffico, è possibile che il digitale si dimostri l’eccezione in grado di sopravvivere al passaggio del tempo? Probabilmente no, soprattutto considerando che il digitale evolve a una rapidità ben superiore a quella della corrosione dell’acciaio e richiede pertanto costanti attenzioni, tuttavia sarà compito dei Governi futuri assicurarsi che il sogno di un Paese interconnesso non si trasformi in un incubo traviato da innumerevoli fragilità.

[di Walter Ferri]