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Allied Democratic Forces: il gruppo islamico che sta destabilizzando Congo e Uganda

Si intensificano le operazioni militari iniziate il 30 novembre da parte dei governi di Uganda e Repubblica Democratica del Congo (RDC) nelle province di Ituri e Nord Kivu e nelle aree di confine. Queste operazioni nascono per porre un freno ai continui attacchi ai civili da parte dei miliziani delle Allied Democratic Forces (ADF). Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ci sono circa un milione di sfollati nella RDC la meta dei quali ha richiesto asilo in Uganda [1]. Anche se probabilmente la causa principale che ha dato il via a queste operazioni militari è riconducibile alla serie di recenti attacchi terroristici in territorio ugandese: l’ultimo occorso nella capitale Kampala il 16 novembre scorso, ha causato 7 morti e dozzine di feriti. 

Le ADF, considerate alleate dello Stato Islamico (IS) e inserite nella lista dei gruppi terroristici da parte degli Stati Uniti, sono il gruppo armato più attivo e letale che opera nelle provincie orientali della RDC. Negli anni hanno inoltre sviluppato significativi interessi economici, traffico di legname, agricoltura, l’estrazione dell’oro e di altri minerali comunemente utilizzati nella produzione di dispositivi elettronici come stagno, tungsteno e tantalio. Queste attività non solo hanno profondamente radicato l’ADF in più ampie dinamiche politiche ed economiche nell’area, come il controllo del mercato nero e i sistemi clientelari, ma hanno anche generato entrate e creato interessi economici che paiono separati dai suoi obiettivi politici in Uganda. Il gruppo nacque infatti in Uganda nel 1995 dall’unione di gruppi ribelli – tra cui l’Uganda Muslim Liberation Army e l’Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (NALU) – per rovesciare il governo di Yoweri Museveni (in carica dal 1986). 

Le Allied Democratic Forces in oltre 20 anni di attività sono state responsabili di numerosi attacchi alle forze militari ugandesi e della RDC, nonché di svariati crimini ai danni della popolazione civile, numerose sono le segnalazioni di rapimento e reclutamento di bambini per farne dei soldati. Secondo la chiesa cattolica della RDC questo gruppo armato sarebbe responsabile di oltre 6.000 morti dal 2013 ad oggi. Mentre per il Kivu Security Tracker [4], progetto che monitora le attività dei gruppi armati nelle provincie orientali della RDC, dal 2017 sarebbero avvenuti più di 13.000 uccisioni e oltre 7000 rapimenti. Le regioni di Ituri e Nord Kivu, ricoperte per ampie parti da una folta giungla, sono diventate negli anni “terra di nessuno” in cui diversi gruppi armati e criminali hanno creato basi e rifugi, per arricchirsi grazie all’estrazione illegale di minerali e al contrabbando. 

Nel febbraio 2021, nel villaggio di Kibumba, Nord Kivu, mentre viaggiavano in un convoglio di due veicoli del Programma Alimentare Mondiale (World Food Programme) vennero rapiti e poi uccisi l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere che lo scortava Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo. Un caso che ancora oggi rimane pieno di zone d’ombra irrisolte [5]

[di Enrico Phelipon]