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Uno studio prova che il cibo dei fast food americani è pieno di ftalati, e in Italia?

McDonald’s, Burger King, Pizza Hut, Domino’s, Taco Bell e Chipotle sono alcune tra le maggiori catene in cui vengono venduti alimenti dov’è stata dimostrata la presenza di ftalati. Questi, anche conosciuti come ortoftalati, sono una famiglia di sostanze chimiche organiche e derivano dal petrolio (motivo per cui l’impatto ambientale è significativo), utilizzati in più settori [1] per migliorare la flessibilità e la modellabili dei materiali. Gli ftalati sono tra gli agenti plastificanti più diffusi e seriamente dannosi per gli esseri umani. I soggetti più a rischio sono i bambini, i quali possono avere serie conseguenze anche con dosi minime, e le donne incinte. Oltre a comportarsi come interferenti endocrini (e quindi causare disturbi al sistema riproduttivo) tali sostanze in circolo nel sangue aumentano il rischio di diabete di tipo 2 ed è stato riscontrato come stimolino la comparsa di disturbi di tipo mentale e comportamentale (iperattività, ansia, depressione) ma anche problemi motori.

In Europa vige un regolamento [2] sull’uso di ftalati [3] e simili negli alimenti e nei prodotti in generale, vista la loro pericolosità. In Italia, sull’onda delle restrizioni europee, è stata posta particolare attenzione [4] – specialmente per la tutela dei bambini – tanto che non è consentita la messa in commercio di prodotti che abbiano una concentrazione di ftalati superiore allo 0,1 percento. La presenza di sostanze come gli ftalati nei cibi è un tema trattato da anni e gli studi sono stati perlopiù relativi ai prodotti utilizzati per il confezionamento (quindi nella plastica destinata a venire a contatto con alimenti). Solo nel 2018 una ricerca della George Washington University pubblicata sulla rivista Environment International aveva approfondito [5] l’argomento esaminando le urine, dimostrando l’effettiva presenza di sostanze dannose per i soggetti che, nelle ultime 24 ore, avevano fatto tappa nei fast food. Il recente studio [6] condotto in Texas è invece il primo a quantificare le concentrazioni di ortoftalati e plastificanti sostitutivi all’interno degli alimenti delle sopracitate catene di fast food. Attraverso l’analisi di sessantaquattro campioni di cibo (hamburger, patatine fritte, bocconcini di pollo, burrito di pollo, pizza al formaggio) e di tre paia di guanti utilizzanti nei ristoranti (perché possono essere responsabili della contaminazione), sono state trovate elevate concentrazioni di plastificanti sostitutivi e di DEHT (Diottiltereftalato).

Si tratta di risultati preliminari ma comunque allarmanti, condotti specificatamente negli Stati Uniti dove vigono regole diverse rispetto all’Italia (che manca, per il momento, di un simile studio) sulla sicurezza alimentare. Non che sia una novità quanto consumare il cibo dei fast food possa essere poco alleato della salute, ma ora è dimostrata una preoccupante abbondanza di plastificanti sostitutivi nei pasti consumati nelle svariate sedi delle grandi catene statunitensi. Migliaia di consumatori al giorno, assumono – senza esserne a conoscenza – sostanze tossiche per il loro organismo. Un gruppo  di scienziati e professionisti della salute (progetto TENDR [7], Targeting Environmental Neurodevelopmental Risks) ha sottolineato – con le dovute prove e dimostrazioni – come l’esposizione agli ftalati porti realmente ai rischi inizialmente indicati, raccomandando quindi l’eliminazione degli ftalati dai prodotti in generale e consigliando di porre urgentemente attenzione al cibo ingerito dai soggetti più vulnerabili.

[di Francesca Naima]