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Le navi cinesi si “nascondono” da settimane

Un marinaio sta controllando sui monitor il traffico navale quando, improvvisamente, dal nulla, compare un nuovo segnale: una nave si genera senza preavviso nel bel mezzo dell’oceano, pronta a scaricare in porto le sue preziose merci. Quello che sembrerebbe l’incipit di un racconto spettrale è invece uno spaccato sulla quotidianità della vita dei portuali che vigilano sulle acque ai confini dell’area d’influenza cinese. Da tre settimane a questa parte sono infatti scomparsi i dati di circa il 90% delle navi mercantili operanti in prossimità della Cina, un evento bizzarro che potrebbe complicare non poco la gestione delle merci su scala internazionale.

Beijing ha di fatto smesso di trasmettere a livello internazionale buona parte delle informazioni raccolte attraverso il sistema di identificazione automatica (AIS), ovvero le informazioni ottenute via frequenze radio dalle basi costiere. Stiamo parlando di dettagli quali velocità di crociera, rotta e posizione delle navi cargo, elementi che possono perdere di precisione qualora siano evinti attraverso la sola rete satellitare.

Il Ministero degli Affari Esteri cinese ha confermato che le stazioni AIS stiano operando regolarmente, tuttavia lo State Council Information Office (SCIO) non ha rivelato il perché tali dati siano trattenuti od omessi. A fornirci qualche indizio sul cosa stia giustificando una situazione simile è la China Central Television (CCTV), emittente governativa che ha recentemente dedicato parte del suo palinsesto per discutere [1] dei pericoli rappresentati delle fughe di informazioni marittime, a prescindere che queste siano commerciali o militari.

In pratica, la condivisione dei dati AIS sarebbe interpretata come una minaccia per la «sicurezza nazionale», soprattutto in vista del deterioramento dei rapporti con le nazioni occidentali e, soprattutto, dei crescenti attriti registrati con l’Australia. Secondo questa lettura, la Cina si starebbe isolando, certa che i suoi avversari siano pronti a sfruttare ogni sua apertura per fortificare le proprie Intelligence. Esiste altresì un’interpretazione meno cupa: il primo novembre la Cina ha introdotto la Personal Information Protection Law (PIPL), una portentosa legge di data protection che potrebbe per vie traverse aver inciso anche sulla gestione del traffico marittimo.

Il PIPL non menziona esplicitamente l’argomento nautico, tuttavia tra i vari argomenti che va a normare compare anche quello dei trasferimenti internazionali di dati, dettaglio che potrebbe tranquillamente accorpare anche gli AIS. Nei fatti, qualsiasi entità cinese che voglia divulgare informazioni sensibili all’estero deve prima dotarsi di una certificazione di sicurezza emessa dal Cyberspace Administration of China, un procedimento burocratico che è potenzialmente molto lungo e che non necessariamente verrà superato da tutte le basi radio. Per evitare di incappare nell’illegalità, i centri di identificazione automatica avrebbero quindi preferito rivedere la portata dei propri servizi, nell’attesa che la nuova legge abbia il tempo di consolidare degli iter chiari e definiti a cui fare riferimento.

Il vuoto creatosi non rappresenta un grosso pericolo per la navigazione effettiva – difficilmente vedremo navi speronarsi vicendevolmente -, tuttavia il disservizio minaccia di avere ripercussioni sul Mercato delle merci. Potendo fare riferimento a un bacino di dettagli molto contenuto, le capitanerie di porto rischiano di dover gestire incognite che porteranno a congestioni e rallentamenti, quindi a un aumento dei costi. In un periodo in cui la filiera di rifornimenti è già provata e molte nazioni sono afflitte da inflazione, le conseguenze potrebbero essere palpabili.

[di Walter Ferri]