giovedì 28 Marzo 2024

Intesa San Paolo sta finanziando la devastazione dell’Artico russo

La banca italiana Intesa Sanpaolo e l’istituto di credito statale CDP (Cassa Depositi e Prestiti) finanzieranno un maxi piano per l’estrazione e liquefazione di gas naturale che occuperà la penisola di Gydan, uno dei territori più delicati e a rischio dell’Artico russo e non è difficile immaginare il disastro ecologico che ne conseguirà, denunciato già da tempo da Greenpeace e ReCommon. Il piano, chiamato Arctic LNG 2, di cui titolare è la società russa Novatek, vede quindi l’Italia tra i suoi principali partner, dopo la conferma della copertura assicurativa per il finanziamento da parte dell’agenzia di credito all’esportazione italiana (SACE, sezione speciale per l’assicurazione del credito all’esportazione). La conferma della presenza italiana tanto a livello commerciale quanto a livello di credito e assicurazione avviene pochi giorni dopo la fine della COP26, rendendo ancora una volta la famosa “svolta green” ben poco credibile.

Un preoccupante caso di greewashing, come sentenzia ReCommon e una scelta che rende fittizio l’impegno dell’Italia per interrompere i sussidi pubblici diretti per progetti internazionali legati ai combustibili fossili entro il 2022. Come emerso da Reuters, sembrerebbe che proprio durante il summit in Scozia, mentre l’Italia prometteva di impegnarsi su tale fronte, arrivava la conferma della copertura assicurativa per Artic Lng 2, da SACE – che non è nuova in tali investimenti, anzi – direttamente a Giorgio Starace, ambasciatore italiano in Russia. Dal 2016 al 2020 sono ben 8,6 miliardi gli euro per supportare il comparto Oil&Gas investiti da SACE, ma anche Intesa San Paolo non si è mai tirata indietro per appoggiare piani simili. Basti pensare che sempre da ReCommon viene spiegata nel dettaglio “l’insostenibilità” della banca, la quale – nello stesso lasso di tempo degli 8,6 miliardi – ha posto 13,7 miliardi di dollari sull’industria fossile. A beneficiarne enormi e potenti multinazionali quali Eni, Exxon, Cheniere Energy, Equinor, Kinder Morgan, ma anche Novatek, ora in cima alla lista vista la stretta di mano per Artic LNG 2.

Intanto, la regione artica – già da tempo a rischio e che manda segnali di un imminente disastro ecologico di portata globale – subisce un nuovo, potente attacco. Da anni vanno avanti svariati progetti per lo sfruttamento delle fonti fossili nell’Artico, mentre sta prendendo vita, per aggiungersi alla combriccola, anche l’Arctic LNG 2. L’Artide non è solo vittima di chi si impone fisicamente, ma è continuamente sottoposta al cosiddetto grasshopper effect (distillazione globale o effetto cavalletta) dove alcune sostanze chimiche, in particolare gli inquinanti organici persistenti, per effetto dell’evaporazione si accumulano nell’atmosfera dopodiché avviene il processo di condensazione (viste le basse temperature) e ricadono sul suolo e in mare. Processo che, andando avanti a iosa, permette agli inquinanti di viaggiare per grandi distanze. Nell’oceano Artico esistono poi depositi di metano congelati, i cosiddetti “giganti dormienti del ciclo del carbonio” che hanno ormai iniziato a sprigionarsi, com’era stato preannunciato dagli studiosi. E, nonostante questo, progetti come Artic Lng 2 non sembrano fermarsi. Anzi, vengono finanziati e da istituti di credito italiani, la stessa Italia della transizione ecologica.

[di Francesca Naima]

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