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Summit sulla Libia a Parigi: il gioco di potere dietro alla transizione democratica

Il 12 novembre si è tenuto a Parigi un summit internazionale [1] con oltre venti Paesi partecipanti per discutere delle elezioni presidenziali in Libia, previste per il prossimo 24 dicembre. Le potenze coinvolte hanno esortato la Libia ad attenersi al piano per lo svolgimento delle elezioni ed esortato i mercenari stranieri ancora presenti ad abbandonare il territorio, minacciando sanzioni contro chiunque minacci o danneggi la transizione politica. Come spesso accade in questi contesti, la pretesa di una transizione democratica cela gli interessi in gioco di tutte le parti, che vedono nella Libia un’importante fonte di approvvigionamento energetico e una zona di importanza strategica per allargare la propria influenza nelle zone nordafricane.

Sono previste per il 24 dicembre prossimo le elezioni presidenziali libiche, sostenute dal Governo transitorio istituito il 5 febbraio scorso e guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Durante la conferenza internazionale tenutasi il 12 novembre a Parigi, voluta da Francia, Germania e Italia con l’appoggio delle Nazioni Unite, è stato ribadito l’appoggio alle elezioni e la necessità di fare in modo che le truppe mercenarie straniere abbandonino lo Stato il prima possibile, prevedendo sanzioni per chi abbia intenzione di minacciare la transizione politica. Secondo l’ONU, le elezioni rappresentano un momento chiave nel processo di pace, ma lo svolgimento è ancora dubbio, in parte a causa della complicata e frammentata situazione politica in Libia, che rende difficile arrivare a un accordo su programma e candidati.

All’incontro hanno partecipato i leader di Paesi quali Francia, Germania, Italia, Libia, Egitto e Stati Uniti (rappresentati dalla vicepresidente Harris). Turchia e Russia, i due Paesi maggiormente coinvolti nel conflitto, hanno inviato rappresentanti di minor livello [2]. Si tratta di una decisione di un certo peso, in quanto i due Stati dispongono di un gran numero di forze armate sul territorio: la Turchia a favore del governo di Tripoli, la Russia dell’Esercito di liberazione nazionale (LNA) guidato dal generale Haftar. I due poli costituivano i principali fulcri in contrasto prima della formazione del Governo di transizione. Russia e Turchia non hanno richiamato le proprie milizie nemmeno dopo che a Ginevra, in un incontro con il Comitato militare congiunto libico, è stata stabilita l’interruzione delle ostilità e la partenza delle forze straniere dalla Libia entro tre mesi.

Di certo gli interessi di tutte le parti in Libia sono inconfutabili e vanno ben oltre il filantropico intento di garantire la transizione democratica e la pace. La Turchia nutre un certo numero di interessi [3] in Libia, legati principalmente alla definizione delle zone economiche esclusive marittime, di importanza strategica per le dinamiche energetiche, soprattutto per quanto riguarda il gas. La Libia costituirebbe inoltre un territorio strategico per allargare l’influenza turca in Medio Oriente e Nord Africa. La Russia [4], dal canto suo, ha voluto controbilanciare il potere della Turchia offrendo il proprio supporto al LNA di Haftar, assicurandosi una propria zona di influenza e potere nella regione.

I Paesi europei nutrono ciascuno la propria dose di interessi. Per fare solo un esempio, l’Italia [5] ha nella Libia un importante partner economico e strategico, vista la presenza di Eni  nel Paese da più di 50 anni. La multinazionale non ha sospeso le proprie attività in Libia nemmeno durante la guerra civile, che ha portato diverse altre aziende italiane a ritirarsi dal territorio per garantire la sicurezza dei lavoratori. La Libia ha inoltre il potere di regolare il traffico di migranti verso i nostri porti, fattore che veniva utilizzato già da Gheddafi come arma di pressione geopolitica.

A complicare la fattibilità della transizione democratica vi è il fatto che l’unificazione istituzionale voluta con la definizione di un Governo di transizione non riflette l’effettiva situazione del Paese, profondamente diviso da anni di guerra civile e conflitti. Nei giorni scorsi, per esempio, il capo dell’Alto Consiglio di Stato libico al-Mishri ha invitato la popolazione a boicottare il voto dopo l’annuncio della candidatura del generale Haftar e ha criticato i Governi occidentali in quanto a conoscenza dello stato lacunoso delle leggi elettorali. Non esiste, inoltre, un accordo sulla base costituzionale dell’elezione, i cui tempi di svolgimento sono essi stessi causa di scontro. Inoltre è probabile che tra i candidati alla presidenza vi sia anche Dbeibah, ma se questo fosse vero si tratterebbe di una violazione agli accordi che hanno sancito la nascita del governo provvisorio e che prevedevano il ritiro di tutti i ministri una volta convocati i comizi elettorali.

La situazione appare complessa e difficilmente risolvibile nelle brevi tempistiche imposte dai governi occidentali. Rimane da osservare quale sarà lo svolgersi dei fatti nelle prossime settimane.

[di Valeria Casolaro]