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Ddl concorrenza: Draghi ora va all’attacco dei servizi pubblici locali

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il 4 novembre il Disegno di legge per il mercato e la concorrenza 2021 [1], che rientra tra gli obiettivi individuati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).  Uno dei punti chiave di questo Ddl è la privatizzazione della globalità dei servizi pubblici locali (art. 6). Si tratta della conferma della priorità che questo Governo assegna a liberalizzazione e interessi di mercato, piuttosto che all’efficienza dei servizi e alla garanzia della tutela dei diritti dei cittadini. La legge andrà infatti a mettere nelle mani dello Stato tutti i servizi pubblici normalmente gestiti dai Comuni, affinché diventino strumenti di competizione sul mercato.

La finalità, stando al testo del Ddl, è quella di “promuovere lo sviluppo della concorrenza e l’accesso ai mercati (…) e contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e potenziare la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini”. Suona ironica questa affermazione dopo due anni di pandemia che hanno reso evidente come la corsa al neoliberismo e alle privatizzazioni [2](da sempre applicate invocando l’ideologia dell’efficentismo e della concorrenza) abbia comportato un enorme danno per la popolazione, definendo criteri discriminatori per l’accesso alle cure e ai servizi.

Il governo di Draghi, invece, procede sulla linea degli investimenti finanziari e della promozione del libero mercato come supposto strumento di eguaglianza tra le parti. Il Ddl prevede la gestione della globalità dei “servizi pubblici locali” (non vengono effettuate differenziazioni di sorta) come competenza esclusiva dello Stato. Un affidatario si occuperà di redigere una relazione annuale circa la qualità del servizio e gli investimenti effettuati. Gli enti locali che vogliano gestire in proprio un servizio dovranno produrre “una motivazione anticipata e qualificata (…) del mancato ricorso al mercato” e sottoporsi a una “revisione periodica” per “giustificare le ragioni del mantenimento dell’autoproduzione”. La mancata presenza sul mercato è insomma vista come un’anomalia da giustificare periodicamente: lo snaturamento del servizio pubblico in quanto tale viene così sancito una volta per tutte.

Per assicurare “un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica” il governo, oltre a privatizzare la gestione dei servizi, si occuperà anche di rivedere “i regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impegni e delle altre dotazioni, nonché della gestione dei beni in caso di subentro”.

L’art. 6 è passato inosservato sui canali di comunicazione mainstream: a catturare l’attenzione sono state, ancora una volta, le schermaglie politiche, mentre si è tralasciato di trattare un provvedimento di importanza sostanziale. Allo stesso modo un altro fatto sta passando inosservato, di uguale gravità. Lo ha denunciato questa mattina Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera della Lega, a Radio 24: «Il ruolo del Parlamento da quando c’è il governo Draghi dire che è compresso è un eufemismo. Il Senato può discutere temi marginali che non sono nell’agenda del governo come il DDL Zan, ma tutto quello che viene dal governo arriva praticamente blindato […] Siamo entrati in un governo d’emergenza che agisce con una procedura di emergenza, ma questa non può diventare la normalità, sappiamo che anche con la legge di bilancio sarà così».

Come abbiamo già spiegato in questo articolo [3], il premier Draghi ha fatto spesso ricorso alla fiducia da quando è in carica, arrivando a programmare cinque voti blindati in sole 48 ore. Non si tratta del primo premier a ricorrere a tale strumento, ma sono iniziative che portano a sollevare domande su quanto la democrazia parlamentare sia ancora un valore centrale nel governo del nostro Paese.

[di Valeria Casolaro]