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Progetto DIANA: la Nato pianifica un futuro militare a base di IA e Big Data

Si è parlato molto del G20 e delle proposte per normare la finanza globale, del Cop26 e dei tiepidi accordi ambientali, ma c’è una tema che non ha potuto vantare l’onore dei riflettori pubblici, un tema che è stato depositato con discrezione nei dietro le quinte, quello della corsa all’uso militare delle nuove tecnologie.

A fine ottobre, senza troppe cerimonie, i Ministri della Difesa dei Paesi NATO si sono riuniti a Bruxelles per dare il via a due progetti che mirano a uniformare le competenze tecniche “next-generation” delle nazioni coinvolte: l’istituzione di un «fondo per l’innovazione» diretto ad aziende specializzate nel “dual-use” e la creazione del Defense Innovation Accelerator (DIANA).

Se è facile comprendere come gli incentivi alle aziende private possano agevolare lo sviluppo di strumenti informatici a duplice uso – ovvero che abbiano applicazioni anche nel settore militare -, risulta più complesso prevedere la portata che assumerà nel tempo DIANA, hub che ambisce di fatto a proporsi come omologo internazionale al ramo di ricerca e sviluppo del Pentagono, la DARPA. Un obiettivo non da poco che vuole toccare sette settori altamente strategici [1]: intelligenze artificiali, elaborazione dei Big Data, sistemi quantistici, biotecnologia, apparecchiature autonome, armamenti ipersonici ed esplorazione spaziale.

Nell’immediato, l’idea è quella di serrare i ranghi e confrontare le competenze per trovare soluzioni comuni che attenuino le criticità di un futuro in cui il dominio delle informazioni, il controllo dei dati, le campagne di disinformazione e l’ingegneria sociale manifesteranno un’importanza sempre più marcata, tuttavia è evidente che le potenzialità del progetto sono decisamente più alte, nel bene o nel male.

Il progetto è correntemente sostenuto da Italia, Germania, Regno Unito, Grecia, Ungheria, Belgio, Paesi Bassi, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia e Lussemburgo, 17 dei membri NATO che complessivamente intendono mettere in campo entro giugno 2022 un finanziamento di partenza da un miliardo di euro. Non si può non notare che all’appello manchino nazioni rilevanti quali Turchia, Canada e, soprattutto, Stati Uniti, tuttavia il Segretario Generale NATO Jens Stoltenberg spera caldamente che nei prossimi mesi i Governi latitanti decidano di rimediare alla loro assenza.

Nonostante le alte premesse, non si può che nutrire qualche perplessità sulle effettive possibilità dell’operazione: in un mondo in cui lo spiare i propri alleati è ancora la norma [2], l’idea che le Difese collaborino a carte scoperte rasenta l’impossibile. DIANA sta assumendo le sembianze di una task force nata per arginare le influenze di Russia, Cina Corea del Nord e Iran, ma non è detto che sia pronta ad applicare la medesima solerzia nel gestire gli abusi intestini alla NATO delle tecnologie «avanzate ed emergenti».

[di Walter Ferri]