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Milano: la polizia irrompe all’Università contro gli studenti

Polizia e Digos hanno fatto irruzione nella sede dell’Università Statale di Milano per sgomberare con la forza gli studenti che da tre settimane occupavano le aule studio. La protesta pacifica rivendicava l’accesso a spazi per la didattica quali biblioteche o aule studio, chiusi o fortemente contingentanti dall’inizio della pandemia. Il rettore, in risposta, ha richiesto l’intervento della polizia, inscrivendo così l’episodio nel clima di crescente intolleranza per il dissenso che non risparmia nemmeno le università.

Gli studenti facevano parte del collettivo universitario Cric (Collettivo Rottura in Corso) e da settimane chiedevano al rettore una soluzione “alla carenza e inadeguatezza degli spazi accademici”. La risposta del rettore è stato la richiesta alla polizia di sgomberare gli spazi occupati: “a dimostrazione che l’università non lascia margini di dissenso”, scrivono gli studenti sulla pagina Facebook Ecologia Politica. Ventotto studenti sono stati denunciati.

L’episodio si inserisce in un clima generale che mostra poca tolleranza per il dissenso, il quale viene criminalizzato a fronte di una militarizzazione del consenso. Le realtà scolastiche e formative non ne sono esenti: solamente poche settimane fa avevamo assistito al violento intervento della polizia nel liceo romano Ripetta [1], dove studenti (molti dei quali minorenni) che protestavano pacificamente erano stati presi a manganellate.

“Riteniamo che aver lasciato passare le forze dell’ordine all’interno di un luogo di istruzione e avergli permesso di sgomberare un’occupazione pacifica sia una forma di repressione politica che non possiamo accettare” scrivono gli studenti sui social, accusando il rettore di “nascondersi dietro alle forze dell’ordine”.

[di Valeria Casolaro]