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Cinema e lotta di classe: Squid Game palesa le criticità del sistema neoliberista

Squid Game, ve ne sarete accorti, è stato un successo planetario. La serie ha scalato rapidamente le classifiche di Netflix, ma la sua portata si è estesa ben oltre al servizio di streaming, raggiungendo social di ogni tipo e persino la vita quotidiana. Un’accoglienza tanto disarmante è dovuta all’estetica immediatamente riconoscibile del suo mondo e a una campagna marketing spietata, tuttavia anche le tematiche trattate hanno contribuito al suo trionfo, tematiche che ci offrono di sponda uno spaccato di come la società globalizzata vede sé stessa.

Una sinossi del programma viene brillantemente sintetizzata da un documento che Foreign Policy [1] attribuisce al Dipartimento di Stato americano: «la cupa storia dello show rappresenta la frustrazione percepita dal coreano medio e, in particolare, dalla gioventù coreana, la quale fatica a trovare lavoro, a maritarsi o a godere della scalata sociale». Nella sua essenza, Squid Game illustra la massacrante guerra tra poveri, la prospettiva disillusa di un miglioramento delle condizioni di vita, il distaccamento dei ceti alti dalla realtà sociale.

Questi fattori trovano risonanza in ulteriori produzioni “estere” di successo che vivono sotto l’ala di Netflix: La casa de papel, El hoyo, Roma, Okja. Il potente distributore sfrutta quindi il suo soft power selezionando titoli non americani che si concentrano sugli attriti di classe, ormai consapevole che la frustrazione dei ceti medio-bassi verso le disuguaglianze economiche sia condivisa tra tutti i popoli globalizzati. È universale, così come a essere universale è anche l’angoscia del vedersi in un modo competitivo in cui bisogna dimostrarsi spietati per mantenere la propria fragile posizione socio-economica.

La democratizzazione del ridimensionamento delle prospettive individualiste sta in un certo senso ricostituendo le solidarietà comunitarie e i media popolari finiscono irrimediabilmente con il rappresentare in chiave rabbiosa quelle critiche alla borghesia che erano già state portate avanti con grazia da capolavori degli anni Settanta quali Le charme discret de la bourgeoisie e La Grande Bouffe.

Serie e film odierni si guardano bene dal suggerire una “chiamata alle armi” – basti vedere i video di TikTok [2] in cui le truculente morti di Squid Game sono riviste a simpatici balletti -, tuttavia riflettono in chiave consumistica un malessere che sta evidentemente maturando, che ci porta a tifare per gli antieroi che vogliono distruggere un sistema neoliberista corrotto, che manifesta un’insoddisfazione pronta a esplodere.

[di Walter Ferri]