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G20 di Roma: ancora una volta nessun impegno reale per l’ambiente

Il summit del G20 tenutosi a Roma nelle giornate del 30 e 31 ottobre si è concluso, ma sulla crisi climatica si delinea ancora una volta la scarsa capacità di prendere impegni concreti [1]. Mentre è confermato l’impegno di evitare un surriscaldamento globale superiore a 1.5°C rispetto ai livelli pre-industriali (già stabilito con gli Accordi di Parigi nel 2015), i grandi del mondo, giunti con mega impattanti aerei privati e scortati da decine di auto (solo Joe Biden ne aveva al seguito 38) non sono riusciti ad andare oltre un generico obiettivo di raggiungere il traguardo delle emissioni zero “all’incirca per la metà del secolo”. Le incomprensioni tra i diversi Stati e un supposto atteggiamento vessatorio da parte dei G7 narrano poi di un mancato dialogo tra le parti.

Gli impegni presi sono molto simili a quelli siglati a Parigi nel 2015, quando si era stabilito che fosse determinante “limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1.5°C”. Tale risultato, secondo gli esperti, può essere raggiunto solamente dimezzando le emissioni entro il 2030 e portandole a zero entro il 2050, obiettivo che Stati come la Cina (il maggiore produttore di gas serra a livello mondiale) e l’Arabia Saudita non sono disposte a raggiungere prima del 2060.

Il presidente cinese Xi Jinping [2] ha sottolineato la necessità di tenere in considerazione le differenze geopolitiche tra gli Stati occidentali e i Paesi in via di sviluppo, che non possono farsi carico delle medesime responsabilità. A tal proposito, il ministro degli Esteri [3] russo Lavrov ha affermato che i Paesi più ricchi del G7 hanno esercitato molte pressioni sugli altri Stati affinché accettassero la scadenza decisa. La prima bozza sarebbe stata discussa prima dal G7 e poi fatta circolare: «ecco com’è che la dichiarazione originale conteneva il 2050 come data» ha affermato Lavrov. Si delinea quindi un mancato dialogo paritario tra Paesi più ricchi e più poveri, che dovrebbe essere alla base del raggiungimento di obiettivi congiunti ai quali cooperare.

In merito all’utilizzo del carbone gli impegni presi seguono la medesima linea: sono stabiliti piani per porre fine agli investimenti oltreoceano e azioni non specifiche per ridurne l’uso domestico, con un vago accenno a sostenere i Paesi che si impegnino in tal senso. Per volere della Turchia una prima bozza che faceva riferimento all’importanza della riduzione drastica dell’uso del carbone è stata sostituita con l’affermazione che la riduzione dell’uso dei combustibili fossili è “uno dei modi più fattibili, efficienti e veloci per limitare il cambiamento climatico”.

Il premier Draghi ha definito il G20 «un successo» e di essere «orgoglioso dei risultati raggiunti», i quali costituiscono «basi piuttosto solide» per il conseguimento degli obiettivi sul cambiamento climatico, e molti dei leader dei paesi più ricchi hanno fatto eco a tali elogi. Alcuni dei diplomatici presenti hanno tuttavia affermato che il modo in cui il team italiano ha gestito il vertice ha suscitato non poche tensioni e risentimento con Paesi quali la Cina e la Russia, oltre ad una vera e propria malagestione che ha rischiato di ostacolare i negoziati. Lo sforzo per mantenere unito il G20 ed evitare una debacle avrebbe avuto quindi la meglio sul mantenimento degli impegni originariamente prefissati.

“I Paesi del G20 sono responsabili di oltre l’80% delle emissioni mondiali” sottolineano in un comunicato gli attivisti di Friday for future, che hanno sfilato in protesta per le vie di Roma durante il summit. “Nessun accordo sul clima è neanche lontanamente possibile senza un accordo tra questi paesi”. Insieme agli attivisti di Friday for future, Cobas, lavoratori della Gkn, dell’Ilva e di Alitalia hanno marciato e organizzato sit-in per la capitale. Una cinquantina di attivisti della piattaforma Climate Camp hanno protestato nei pressi del Ministero della Transizione Ecologica. Dopo essersi seduti in terra per bloccare l’accesso al Centro congressi dove si teneva il G20, protestando pacificamente, sono stati trascinati via dalla polizia.

Jennifer Morgan [4], direttore esecutivo di Greenpeace, definisce il summit un “fiasco” e ripone le speranze nella Cop26 di Glasgow, “dove c’è ancora la possibilità di cogliere un’opportunità storica“. “Alla Cop26 [5] non molleremo e continueremo a spingere per una maggiore ambizione climatica, così come per le regole e le azioni per sostenerla. Dobbiamo fermare immediatamente tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili”.

[di Valeria Casolaro]