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Tornare alla canapa per un futuro più sostenibile non è fantascienza

Siamo nell’antropocene. Ormai non vi è più ombra di dubbio. L’impronta ecologica umana si è fatta così invadente da definire una nuova era geologica. Detta così potrebbe sembrare una lode, ma in realtà abbiamo ben poco di cui vantarci. Crisi climatica e devastazione ambientale sono realtà sotto gli occhi di tutti. Ma se sfruttassimo quella lungimiranza che, se non altro, caratterizza la nostra specie, potremmo ancora cambiare le carte in tavola. Ad esempio, volendo riassumere l’impatto umano sul pianeta in tre macro problematiche – emissioni di carbonio, inquinamento e deforestazione – beh, la canapa avrebbe almeno una soluzione per ognuna di queste. Andiamo per ordine.

Emissioni di carbonio

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Inutile ribadire quanto ogni attività umana – da quella industriale a quella più quotidiana – sia in qualche modo responsabile dell’emissione di gas serra. Le parti per milione di anidride carbonica in atmosfera ogni anno raggiungono un nuovo picco, portandosi dietro riscaldamento globale e relativa crisi climatica. Se però la canapa (Cannabis sativa) tornasse a dominare almeno qualche settore produttivo, le cose potrebbero già migliorare. Pensiamo alla produzione tessile che, allo stato attuale, genera ben 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Sebbene non siano la scelta più sostenibile, oggi, sono però il cotone e diverse fibre sintetiche ad avere l’egemonia sul comparto della moda. La produzione di una tonnellata di fibra di cotone emette 6 kg di anidride carbonica, ma se lo stesso quantitativo di fibra venisse dalla canapa [2], l’atmosfera riceverebbe il 33% in meno di CO2. Ma non solo. Si userebbe appena un quarto dell’acqua richiesta dal cotone per ottenere un prodotto finito più resistente e durevole, nonché meno energivoro: lavare dei capi in canapa richiede infatti lavaggi più brevi e a temperature più basse.
Passiamo al settore edile. Anche qui la canapa si è rivelata una buona alleata. Il settore delle costruzioni si stima che sia responsabile di circa il 38% delle emissioni globali di CO2 legate all’energia. Motivo per cui la cosiddetta bioedilizia sta tentando di diffondersi a macchia d’olio. In termini di efficienza energetica, se utilizzata come ‘rivestimento’ – scriveva l’Enea in relazione ad un loro progetto [3] – «la canapa migliora l’isolamento termico, attenuando di circa il 30% il flusso termico, ossia la quantità di calore che passa attraverso un materiale in un dato momento, e diminuendo del 20% la trasmittanza termica, vale a dire la facilità con cui un materiale si lascia attraversare dal calore». Ma c’è di più. Rispetto ai materiali convenzionali, se miscelata con la calce per farne direttamente dei mattoni, mostra un ciclo di vita decisamente a minor impatto [4]. Ciò è dovuto, principalmente, al sequestro attivo del carbonio da parte della pianta di canapa durante la sua fase di crescita. Considerando che, in Italia, i consumi energetici nelle abitazioni sono responsabili del 45% delle emissioni di carbonio, se si utilizzasse la canapa nel settore edile, avremmo case più sostenibili e, sotto diversi aspetti, anche più confortevoli.

La canapa contro l’inquinamento

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Aria, acqua e suolo: non c’è comparto terrestre che non sia stato alterato dalle attività antropiche. L’inquinamento oramai ha così tante sfumature da perderne il conto. Anche qui, però, se si desse più spazio alla canapa le cose potrebbero migliorare sensibilmente. Tra gli inquinanti più temibili, ad esempio, si annoverano pesticidi e fertilizzanti ampiamente impiegati nell’agricoltura moderna La canapa, dal canto suo, richiede un quantitativo di nutrienti aggiuntivo irrisorio e nessun agrofarmaco. Se prendesse quindi il posto di molte colture, l’agricoltura contribuirebbe decisamente meno al cambiamento climatico. Dalla farina alla birra, passando per i sostituti della carne e le barrette energetiche: secondo una recente revisione [6] della letteratura scientifica, la canapa potrebbe già espandersi di diritto nel settore alimentare globale. Inoltre coltivare canapa, non solo sarebbe utile a prevenire certe forme di inquinamento, potrebbe addirittura ‘curare’ il terreno. Secondo diversi studi [7], la cannabis sativa è infatti in grado di tollerare i metalli pesanti: attraverso varie strategie fisiologiche, la pianta è infatti capace di accumularne grandi quantità nei propri tessuti, rimuovendoli dal terreno. Il che la rende un candidato ideale per la fitodepurazione. Chiaro che in questo caso non si potrebbero utilizzare le stesse piante da destinare al consumo umano, ma i potenziali utilizzi in campo industriale sono enormi: dalla bonifica dei suoli alla depurazione delle acque reflue, fino all’abbattimento degli inquinanti nel percolato di discarica.

Ma arriviamo all’inquinamento per antonomasia, quello da plastica. L’impatto dei rifiuti plastici sull’ambiente è forse uno dei peggiori. E non solo perché è il più visibile. Anche qui, però, la canapa ha una soluzione. Un prodotto degradabile e sostenibile in termini produttivi: la bioplastica [8]. Infatti, gli scarti della lavorazione delle fibre di canapa sono costituiti per quasi l’80% da cellulosa, materia prima necessaria alla produzione di plastica biologica. Tra le fibre naturali è poi quella in grado di garantire maggiore elasticità, e quindi resistenza, al prodotto finale. Dall’olio si possono ottenere resine acriliche simili al plexiglass, mentre dal fusto della pianta, il canapulo, attraverso un processo di fermentazione, si ottiene, con rese fino al 90%, l’acido lattico dal quale si produce il PLA, bioplastica molto usata nella stampa 3D.

La canapa contro la deforestazione

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Oggi si disbosca per tanti motivi, troppi a dirla tutta. Coltivazione, allevamento, costruzione di edifici, sono solo alcune delle attività che si fanno spazio devastando le foreste del pianeta. Semplificando le ripercussioni ecologiche della deforestazione, oggi è possibile affermare che tanti meno alberi ci saranno, tanto minore sarà l’anidride carbonica assorbita dalla loro biomassa e quindi rimossa dall’atmosfera. La canapa, dal canto suo, cresce rapidamente, raggiungendo un’altezza di 4 metri in 100 giorni, è in grado [10] di assorbire più anidride carbonica per ettaro rispetto a qualsiasi altra coltura commerciale e può essere coltivata su vasta scala anche su terreni impoveriti di nutrienti. C. sativa rappresenta quindi una delle soluzioni di conversione del carbonio più veloci e convenienti disponibili. Tuttavia, non sarebbe possibile – e tanto meno ecologico – rimboschire con sola canapa. Ma se questa venisse coltivata approfittando di ogni sua potenzialità è probabile che avremmo ecosistemi naturali meno frammentati. In questo senso, l’esempio forse più lampante è la possibilità di coltivarla su larga scala anche per ottenere mangime per animali da allevamento. Un’opportunità, da non molto presa in considerazione dall’Ue, che potrebbe fare la differenza. I semi di canapa, e altre parti della pianta, sono infatti materie prime [11] altamente nutritive e facilmente utilizzabili in ambito zootecnico. D’altra parte, i mangimi attuali sono in larga parte ricavati oggi dalla soia, nientepopodimeno che la seconda causa globale di deforestazione.

Comunque, che la canapa potesse soddisfare le esigenze primarie e consumistiche della società senza gravare troppo sull’ambiente, lo si era intuito già da tempo. «Con la sua polpa si produrrà ogni qualità di carta e si è calcolato che diecimila acri (circa 4mila ettari) a canapa produrranno tanta carta quanto in media quarantamila acri (circa 16mila ettari) di foresta». È quanto si legge in un articolo [12] della rivista Popular Mechanics datato 1938 e intitolato “Un nuovo raccolto da un miliardo di dollari”. Anche nel caso della produzione di carta, le conferme sulle potenzialità della canapa si sono infatti accumulate negli anni. Come quella di un recente studio [13] pubblicato su Bioresources. Qui i ricercatori hanno messo a punto una tecnologia in grado di ottenere dalla canapa prodotti cartacei di uso quotidiano, altamente efficienti dal punto di vista energetico e per i quali non sono necessari processi chimici aggressivi.

Ciononostante, a colpi di proibizionismo, la canapa è stata troppo a lungo messa da parte. Ad oggi, seppur riconosciute le sue potenzialità, l’incertezza normativa non ne facilita una dovuta ripresa sul mercato. Qualcosa però si sta muovendo, e anche il pianeta Terra avrebbe molto da guadagnarci.

[di Simone Valeri]