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672 istituzioni finanziarie europee finanziano l’occupazione israeliana

Sono più di 670 le istituzioni finanziarie europee che sostengono economicamente circa altre 50 imprese che contribuiscono alla costruzione e allo sviluppo degli insediamenti israeliani collocati nei Territori palestinesi occupati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e ritenuti per legge illegali. Una parte dei fondi proviene anche dall’italiana Unicredit (al decimo posto per quantitativo di utili forniti). Secondo DBIO, (Don’t buy into occupation), la coalizione costituita da 25 ong palestinesi, regionali ed europee con sede in Irlanda, Francia, Olanda, Norvegia, Spagna, Belgio e Regno unito e che ha stilato il report in questione [1], Unicredit ha messo a disposizione 3,58 miliardi di dollari: ha, a tutti gli effetti, finanziato un’attività internazionalmente considerata illegale.

Banche, gestori patrimoniali, assicurazioni e fondi pensione: sono queste, più in generale, le categorie a cui le 672 imprese appartengono e che tra il 2018 e il maggio 2021 hanno fornito direttamente o indirettamente attraverso prestiti o acquisti di azioni e obbligazioni circa 255 miliardi di dollari (218 miliardi di euro). Coinvolte anche BNP Paribas e Deutsche Bank, Crédit Agricole e Santander, Airbnb e Trip Advisor, complici di aver fornito fondi per diverse finalità. Comprare dispositivi di sicurezza volti a controllare la popolazione civile palestinese e a limitarne i movimenti, ad esempio, acquistare attrezzature per demolire case palestinesi e i materiali per l’espansione delle colonie. E più in generale, continuare a costruire insediamenti abusivi nei Territori palestinesi di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est [2], occupati militarmente nel 1967, durante la Guerra dei sei giorni. Per il diritto internazionale, però, costruirne ancora significa continuare a violare la Convenzione di Ginevra [3] e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.

Willem Staes, uno dei firmatari del rapporto, ha detto che “Nonostante la natura illegale degli insediamenti israeliani secondo il diritto internazionale, le istituzioni finanziarie europee continuano a fornire un’ancora di salvezza finanziaria alle società che operano nelle colonie mentre dovrebbero seguire l’esempio di alcune istituzioni norvegesi che hanno interrotto il loro coinvolgimento”.

Eppure le prove ci sono. E ce ne sono tante, tutte raccolte negli anni soprattutto dalle Ong israeliane e internazionali che operano in questi territori: i palestinesi subiscono continue violazioni dei diritti umani, abusi e soprusi. Ma gli investimenti, prestiti bancari, contratti di fornitura di attrezzature e prodotti continuano ad arrivare, fornendo l’ossigeno vitale “di cui gli insediamenti hanno bisogno per crescere e prosperare”, dice Michael Lynk, delegato delle Nazioni Unite.

Ma non si tratta solo di soldi, di sostegno economico, di aiuti finanziari. Ogni singolo dollaro offusca la voce di tutti quei palestinesi arrestati senza un motivo, di solito di notte, mentre sono nelle loro case, per mano delle autorità israeliane. Offusca la voce di tutte quelle torture e maltrattamenti, rivolti anche ai minori [4], e che includono percosse, schiaffi, incatenamenti dolorosi, privazione del sonno, posizioni di stress e minacce. A volte anche l’isolamento prolungato. Per mesi. E l’Europa è indirettamente lì con loro, ma dalla parte sbagliata: quella dei carnefici.

La coalizione Don’t Buy Into Occupation, autrice del rapporto, ha dichiarato che ora queste società europee “hanno la responsabilità di garantire che non siano coinvolte in violazioni del diritto internazionale e non siano complici di crimini internazionali”. Sarà difficile confutare prove schiaccianti.

[di Gloria Ferrari]